NUORO – In Sardegna, nel piccolo paese di Seui, c’è un carcere spagnolo, risalente al 1600, perfettamente conservato e visitabile. Per quasi trecento anni è stato simbolo dell’amministrazione della giustizia nella Barbagia di Seulo, oggi è un museo al centro dell’Isola avvolto da fascino e mistero. Originariamente, alla fine del XVI secolo, era una casa appartenuta ad un pastore. Era ben mimetizzata tra le abitazioni del piccolo borgo medievale al confine tra sud Sardegna e Ogliastra, venne trasformata in luogo di prigionia quando il proprietario, a causa di un prestito non ripagato, perdette la casa.
Nel 1614, quando nacque il Ducato di Mandas, il primo Duca chiese ed ottenne che l’abitazione fosse adibita a carcere. Entrato in funzione nel 1647, rimase in uso fino al 1975. Pertanto può essere considerato l’emblema dell’amministrazione di giustizia nella Barbagia di Seulo per oltre trecento anni. Per diversi secoli è stato testimone delle drammatiche condizioni di detenzione dei carcerati, e custode di documenti assai preziosi. Il carcere spagnolo si presenta a pianta quadrata e l’edificio si sviluppa su due livelli ognuno con un ingresso, più un parziale sottotetto detto “su staulu farzu” e un cortile per l’ora d’aria.
Come un cameo appare incastonato tra le strette stradine del paese e si può raggiungere facilmente a piedi attraversando un sottopassaggio, “su Porci”, sul quale si affacciano casette in pietra, con piccoli balconi in ferro battuto e porte di legno intagliato. Intorno alla metà del XVII secolo la struttura fu adibita a luogo di pena dell’Incontrada della Barbagia di Seulo, al tempo facente capo al ducato di Mandas. In seguito passò alla Giustizia mandamentale dei Savoia e infine dello Stato italiano. Venne chiuso definitivamente nel 1975.
Essendo circondato in tutti i lati da alte abitazioni, i prigionieri non avevano alcuna visione dell’esterno ma vivevano la detenzione all’oscuro di quanto accadesse fuori da quel luogo di pena. Le condizioni di detenzione erano particolarmente drammatiche, sia per i detenuti della cella di rigore, che era pavimentata in terra battuta e priva di finestre per il ricambio dell’aria, che per i detenuti della grande cella maschile. A testimonianza di ciò restano numerose scritte e le suppliche lasciate sulle volte nel corso del tempo.
Il carcere può essere suddiviso idealmente in una parte abitativa, comprendente una cucina, la camera da letto del carceriere e “su staulu farzu” , e una parte detentiva con l’ufficio del carceriere, una cella femminile, una cella di rigore e una cella maschile. Superato un cortile pavimentato con pietre di scisto, si accede agli ambienti arredati con mobili dell’Ottocento. Si trova subito la parte riservata al custode, con cucina dotata di camino e una camera da letto. In un sottotetto venivano conservate le derrate alimentari. Oltre alla casa del custode, al piano superiore si trovano anche l’ufficio per la ricezione dei carcerati e la cella femminile. Il pavimento è costituito da travi e assi di legno di castagno e funge da solaio per l’ambiente sottostante. Attraverso una botola e una scala di legno si accede al livello inferiore.
Qui, da un piccolo cortile, si arriva alla cella maschile e alla cella di rigore, detta “sa cella de su pei in tipu”. Nella prima si nota una finestra con una doppia grata, un tavolo, due letti pieghevoli e una vetrina dove sono esposti documenti del XVIII e XIX secolo. L’altro locale è più piccolo. Il pavimento è in terra battuta e le pareti sono in pietra scistosa a vista. L’ambiente, privo di finestre, era utilizzato per praticare le torture. Nelle vetrine, installate quando il carcere è stato trasformato in museo, si possono osservare i documenti relativi alla custodia e al trasposto dei prigionieri. Lo spostamento, dai luoghi di provenienza dei detenuti al carcere, inizialmente avveniva su un carro o a piedi con scorte armate, a partire dalla fine del XIX secolo col treno.
Annotazioni e studi effettuati da medici e farmacisti descrivono interventi effettuati sui carcerati e rimedi e pozioni somministrate anche agli abitanti di Seui, con la lista delle erbe e delle piante officinali adoperate. Il museo è unico nel suo genere perché fa rivivere le drammatiche condizioni dei carcerati al tempo in cui il sistema poliziesco e giudiziario veniva applicato nell’isola dai feudatari. Degni di interesse sono anche gli interventi del medico sui carcerati e quelli sulle pozioni e i rimedi che il farmacista preparava e forniva per conto del Comune che pagava sia per le persone in condizioni di assoluta miseria sia per i detenuti rinchiusi nel carcere.
La parte più interessante del carcere è senza dubbio la sezione farmacopeica, con una raccolta di vasetti, erbe e documenti che illustrano i metodi di cura usati dai farmacisti dell’epoca e che venivano applicati gratuitamente ai prigionieri e agli abitanti del paese che versavano in condizioni di estrema povertà. Il carcere spagnolo fa parte del sistema museale di Seui che comprende altri quattro siti: la palazzina liberty che ospita esposizioni artistiche, archeologiche, etnografiche e minerarie, casa Farci, dove nacque Filiberto Farci, cofondatore del Partito Sardo d’Azione, la galleria d’arte civica e s’Omu de sa Maja, museo incentrato su mondo magico-religioso e tradizioni pre-cristiane barbaricine.
Virginia Mariane
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