PERUGIA – Lode a chi ha reso omaggio, con una meritevole iniziativa, ad una struttura pubblica di tale portata, quale lo stadio di Perugia, che accolse anche 40mila spettatori, tirato su in novanta giorni! Sfido chiunque a trovare in Italia un simile primato. Quel giorno di 50 anni fa l’intera comunità cittadina e regionale, non solo gli amanti ed i tifosi del calcio, appariva entusiasta, orgogliosa, felice. Non si può nascondere oggi, con la squadra rotolata nei gironi più bassi della “pelota” professionistica, una profonda tristezza. “Nessun maggior dolore – cantava Dante – che ricordare il tempo felice ne la miseria…”.
Quel 5 ottobre 1975 rimarrà impresso nella mente non solo di coloro che l’hanno vissuto, ma anche nella memoria delle nuove generazioni (almeno c’è da augurarselo), che dovrebbero coltivare lo stesso orgoglio, l’identico vanto. Fatte le debite proporzioni il varo del nuovo stadio al posto del Santa Giuliana stretto nell’acropoli, richiamò l’attenzione di tutta Italia, non solo sportiva, quasi quanto nel 1278 lo zampillare della Fontana Maggiore che trasportava acqua non in discesa, ma in salita e senza pompe, da una quota più bassa – Monte Pacciano – fin sulla parte più alta della città: novità incredibile al tempo e che fece affluire in Umbria studiosi e curiosi da ogni parte.
Il battesimo dello stadio di Pian di Massiano, che poi, dopo la tragica fine del calciatore in campo, venne dedicato, giustamente e doverosamente, al nome ed al ricordo di Renato Curi, si trasformò in una festa di popolo, con damigiane di vino e panini con la porchetta. Per il giorno fatidico, il calendario chiamò il Milan, allenato da un mito della panchina quale Giovanni Trapattoni, uno dei grandi club del calcio italiano, squadra che qualche anno prima aveva addirittura conquistato la Coppa dei Campioni e si fregiava di scudetti e trofei internazionali. A dirigere la gara il severo Sergio Gonella, uno dei principi del fischietto italiota. Contro i nostri alfieri, fior di giocatori, quali Albertosi, Anquilletti, Benetti, Chiarugi, Maldera ed ancora Scala e Bigon che ai tempi di Gaucci avrebbero svolto il ruolo di allenatori dei biancorossi. Dei portacolori di Perugia, guidati da Ilario Castagner, non elencherò i nomi in quanto molti perugini, se non tutti, sanno snocciolare la formazione a memoria e agli altri direbbero poco o nulla. Colmo di persone festanti e di bandiere al vento, ogni settore dello stadio. 
Spartaco Ghini, dirigente, ma anche capo dell’impresa che aveva gestito i lavori, appariva sorridente e sereno. “Visto che ce l’abbiamo fatta?”, disse rivolto al cronista, che ad ogni incontro gli aveva chiesto, in quella estate, a che punto fosse la costruzione, eretta con ferro e cemento. I quattro angoli vuoti, risultavano come una originale curiosità architettonica, un voluto non finito. Franco D’Attoma, che guidava un gruppo di dirigenti tutti “nostrani”, svolgeva, con eleganza e signorilità, il ruolo di padrone di casa. In tribuna l’élite del giornalismo sportivo italiano. Che per molti anni frequentò lo stadio di Pian di Massiano, il quale, poco dopo, si meriterà il titolo sulla prima pagina del quotidiano sportivo più venduto dell’intero paese, la Gazzetta dello Sport, di “Università del calcio”. Rammenterò, per tutti, solo due nomi di altrettanti capiscuola: Gianni Brera e Gianpaolo Ormezzano.
Gli ospiti ammiravano dalla tribuna stampa, allora situata, anzi sospesa appena sotto la copertura, lo “sky line” della “maschia Peroscia”, che nei pomeriggi in cui le giornate erano più corte – allora si giocava di domenica ed in contemporanea alle 15 – assumeva, come oggi certo, ai raggi taglienti del sole il suggestivo colore rosato. Il legame tra squadra e città emergeva forte, solido, affidabile. Molti calciatori e tecnici prendevano casa in centro e diversi di loro finirono per diventare perugini. In questi ultimi giorni il nuovo allenatore Piero Braglia ha condotto i biancorossi in centro ed ha annunciato allenamenti a porte aperte: un segnale positivo di ripristino di buone pratiche, per rafforzare i legami. Gli suggerisco di farlo con una guida esperta, che faccia ammirare al gruppo ciò che la città di arte, di cultura e di bellezza, offre. Se non si può ricorrere, nel calcio di oggi, alle truppe cittadine – calcisticamente parlando -, almeno si rinforzi il rapporto e la conoscenza con una città, che vanta una storia, reperti, musei e pinacoteche, monumenti più che bi-millenari e che non può essere ricordata, da chi ha indossato la maglia col Grifo, solo per i drink in questo o quel locale alla moda. 
Lo stadio, a ben vedere, diede il suo contributo anche allo sdoganamento da un certo provincialismo e da una città chiusa in se stessa per atavica tradizione. La costituzione dell’ente Regione, il lancio di UmbriaJazz, la vivacità, l’intraprendenza e la lungimiranza degli imprenditori, alcuni dei quali già saliti sul proscenio nazionale, avevano ricoperto, senza dubbio, un loro ruolo in quella stagione d’oro. Ma il calcio rappresentava, allora forse più di oggi, un collante per tutti gli italiani e il Perugia in serie A, contribuì senza dubbio ad una maggiore apertura alla nazione e ad una più puntuale ed approfondita conoscenza del capoluogo umbro fuori dai confini regionali. Un elegante biglietto da visita, insomma. Per certi versi – sebbene anche al tempo non mancassero problemi alla comunità – gli anni Settanta rappresentarono una sorta di Eden. Oggi, almeno sotto il profilo squisitamente sportivo, a Perugia rimpiangono un “paradiso perduto”.
Ma siccome tutta la vicenda della città si è rivelata nei secoli un cadere ed un risorgere – il “Bellum perusinum” nel 41-40 aC, l’assedio e la presa di Totila nel 547, la “guerra del sale” del 1543, il XX Giugno 1859 sono lì a testimoniarlo -, con un pizzico di ottimismo i figli della “maschia Peroscia”sperano che, prima o poi, le magnifiche porte di quel paradiso si riaprano. Al “Renato Curi”, naturalmente.
Elio Clero Bertoldi

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