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Grazianeddu, “primula rossa del Supramonte”

di | 2025-04-20T00:49:39+02:00 20-4-2025 0:35|Personaggi, Sezione 8|0 Commenti

NUORO – Graziano Mesina, l’ex primula rossa del banditismo sardo, è morto sabato 12 aprile 2025, all’età di 83 anni, all’indomani del suo trasferimento dal carcere di Opera al reparto per detenuti del San Paolo di Milano per ragioni di salute. Aveva una malattia terminale e il suo fisico debilitato non ha retto. Sarebbe voluto tornare nella sua amata Orgosolo. Figura storica, Graziano Mesina era in carcere dal 2021. Doveva scontare 24 anni, ricalcolati sulla condanna a 30 anni, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Mesina, che durante la latitanza spesso raggiungeva lo stadio Amsicora per assistere alle partite del Cagliari ed esultare per le gesta di Gigi Riva che rappresentava l’uomo giusto, quell’uomo giusto che lui non era riuscito ad essere, è morto il giorno dell’anniversario dello scudetto del 1970.

Personaggio noto alle forze dell’ordine e alla magistratura per le sue azioni delittuose, L’Anonima sarda, le 22 evasioni, di cui dieci riuscite, e per il suo ruolo di mediatore nel sequestro di Farouk Kassam, Mesina, prima di essere catturato per l’ultima volta, era rimasto un anno e mezzo latitante. Bandito-pastore, una vita da brigante, ha trascorso metà dei suoi 83 anni in prigione, tra fughe dalla detenzione carceraria e fughe d’amore. Dopo aver trascorso complessivamente oltre 40 anni in carcere, ha persino ottenuto la grazia nel 2004 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, su proposta dell’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli.

Graziano Mesina era nato in un piccolo paese dell’entroterra sardo, Orgosolo, un comune immerso nel Supramonte. Era il penultimo di 11 figli, dal temperamento focoso fin dalla sua giovane età. Come racconta lui stesso nella sua biografia, in quarta elementare prese a sassate il suo maestro, perciò dovette lasciare la scuola e diventò servo pastore. All’età di 14 anni, nel 1956, venne arrestato per la prima volta per porto abusivo d’armi di un fucile calibro 16 rubato. Dal 1960 il nome di Graziano Mesina, noto come Gratzianeddu, iniziò a balzare agli onori della cronaca per le sue gesta.

Un aneddoto racconta che nel maggio 1960, dopo un nuovo arresto per aver sparato in luogo pubblico, forzò la porta della camera di sicurezza e fuggì. Nel gennaio 1961 fu scarcerato. A dicembre dello stesso anno, in un bar di Orgosolo, Luigi Mereu, zio di uno degli accusatori di Mesina nella vicenda riguardante l’uccisione del commerciante Pietrino Crasta, venne ferito gravemente da alcuni colpi di pistola. Mesina fu condannato a 16 anni per tentato omicidio. Nel 1966, con il compagno Miguel Alberto Asencio Prados Ponte, un giovane spagnolo disertore della Legione straniera, fuggì dal carcere di San Sebastiano scalando il muro alto 7 metri, scappando per la centrale via Roma a Sassari e prendendo poi un taxi per arrivare a Ozieri. A Graziano Mesina e Asencio Prados Ponte vennero attribuiti numerosi sequestri di persona.

Fingendosi un poliziotto Mesina, col compagno, rapì il commerciante di carni Mossa Capelli, rilasciato solo dopo che la famiglia pagò un riscatto di 18 milioni di vecchie lire. Altri sequestri furono quelli di Campus, Petretto, Moralis, Canetto, Papandrea. Dopo un anno di latitanza, in cui Mesina e Asencio Prados Ponte si erano dati alla macchia, i due banditi vennero intercettati dalle forze dell’ordine. Furono circondati nelle colline vicino ad Orgosolo, in una località chiamata di Osposidda, che rappresenta una delle pagine più drammatiche della storia criminale sarda. Qui Asencio Prados Ponte uccise due agenti, ma venne ferito a morte. Seppur arrestato per l’imputazione di sequestro, Mesina venne assolto dalle accuse per la morte dei due agenti.

Figura simbolo del banditismo sardo, dopo il sequestro del piccolo Farouk Kassam rapito a Porto Cervo il 15 gennaio del 1992, Gratzianeddu intervenne come mediatore in Sardegna durante uno dei suoi permessi, nel tentativo di trattare la liberazione con il gruppo di banditi sardi responsabili del sequestro del bimbo. Farouk fu liberato a luglio, in circostanze mai del tutto chiarite. In questa vicenda infatti resta il giallo del riscatto. Secondo le forze dell’ordine non fu mai pagato ma, secondo Mesina, la polizia pagò circa un miliardo di lire, aiutando la famiglia del bambino a soddisfare le richieste dei rapitori. Il 4 agosto 1993 il tribunale gli revocò la libertà condizionale a causa del ritrovamento di armi da guerra nel suo caseggiato di Asti, arrestandolo insieme ad altre due persone. Sospettato di progettare nuovi sequestri, venne riportato in carcere a Voghera per una condanna all’ergastolo.

Tornato in libertà, dopo aver ottenuto la grazia, ritornò ad Orgosolo e intraprese l’attività di guida turistica. Inoltre, nel 2007, aprì un’agenzia di viaggi a Ponte San Nicolò, in provincia di Padova. All’età di 71 anni, nel 2013, Mesina venne nuovamente arrestato. Secondo gli inquirenti stava progettando un sequestro e guidava una banda dedita al traffico internazionale di droga. Revocatagli la grazia, nel 2016 fu condannato a 30 anni di reclusione dal tribunale di Cagliari. Scarcerato il 7 giugno 2019 per decorrenza dei termini, quando il 2 luglio 2020 i carabinieri si recarono a Orgosolo per notificargli la condanna definitiva, non lo trovarono. Divenne pertanto latitante fino alla sua cattura.

Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2021 a Desulo, in Sardegna, venne stanato in un’abitazione del paese e da lì tradotto nel carcere di Badu ‘e Carros, da dove poi venne trasferito a Opera, a Milano. Dall’arresto il ministero dell’Interno ha inserito Graziano Mesina nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità. Mesina non avrebbe voluto morire in carcere, voleva tornare a casa, a Orgosolo ma, come ha affermato più volte il suo legale, l’avvocato Beatrice Goddi, su di lui c’è stata una sorta di accanimento, infatti “si poteva scarcerarlo prima, almeno un mese fa. Oggi ci stavamo preparando per andare a trovarlo con alcuni familiari e organizzare il suo trasferimento in Sardegna, invece c’è stato questo epilogo”.

Il nome “primula rossa del Supramonte”, dato a Mesina, deriva da un ciclo di romanzi scritti dalla baronessa Emma Orczy e pubblicati in fascicoli agli inizi del Novecento. Le vicende del ciclo erano ambientate nel periodo della rivoluzione francese, quando Robespierre e gli altri membri del comitato di salute pubblica seminavano il Terrore. Contro la tirannia giunse in Francia una figura misteriosa a capo di una lega che si adoperava per il benessere e la salvezza dei nobili. Questo firmava le sue imprese con uno stemma molto particolare, un piccolo fiore scarlatto (Anagallis arvensis), e per questo motivo era conosciuto da tutti come la “Primula Rossa”. Se l’ideale da prendere come esempio fosse stato rispettato tanto di cappello per il nuovo Robin Hood sardo, purtroppo l’eccessivo livore e la ricerca di ottenere denaro facile, spesso ha preso il sopravvento, cosicché Mesina da eroe che combatteva per degli ideali, si è trasformato in un brigante e in un latitante di massima pericolosità.

Virginia Mariane

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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