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Gaza, primi timidi segnali di speranza

di | 2025-01-23T18:10:38+01:00 26-1-2025 0:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

MILANO – Ci sono foto di questi giorni di tregua nella guerra arabo-israeliana che suscitano commozione e gioia, come quelle delle tre giovani donne israeliane (Romi Gonen, Emily Damari e Doron Steinbrecherg) strette nell’abbraccio protettivo delle loro madri, dopo 470 giorni di crudele prigionia, fatta di violenza, buio e paura. Altrettanto coinvolgenti quelle nei pressi del carcere di Ofer dei 90 prigionieri palestinesi rilasciati, tra cui 69 donne e 21 minori. Anche tra di loro ci sono madri allontanate dai loro figli, anche quei minori hanno finalmente potuto riabbracciare le proprie mamme.

Romi Gonen con sua madre Merav

Emily Damari e il selfie con la madre Amanda

Pur nel coinvolgimento emotivo, restano fermi alcuni punti: nessuna difesa di Hamas o qualsivoglia terrorismo accanto alla certezza che ogni serio tentativo di costruire una pace duratura deve necessariamente passare dal rispetto e dal riconoscimento di pari dignità dell’altro. Ora più che mai va tradotta in azione concreta la formula “Due popoli, due Stati”, in opposizione alle vecchie e rigide logiche di certa politica che spesso ha dimenticato il nucleo umano comune al di là delle diversità. Non ha più ragion d’essere la distinzione a priori in categorie di popoli votati alla sofferenza ed altri alla violenza o più generalmente il sostegno ad una contrapposizione continua. È inevitabile che, col perdurare di questa logica, continuerà a vincere solo la disumanità della guerra, col suo odio ed il suo carico di morte e dolore per tutti.

Prigionieri palestinesi liberati dal carcere di Ofer

Il 7 ottobre 2023 passerà alla Storia come la data nefasta che ha visto feroci manipoli di miliziani di Hamas, provenienti dalla striscia di Gaza, infiltrarsi nel territorio di Israele ed uccidere 1194 persone fra civili e militari e sequestrare 250 ostaggi, tenuti poi prigionieri in nascondigli all’interno del territorio di Gaza. Ugualmente sarà conservata la memoria della non proporzionata e devastante risposta armata di Israele contro la striscia di Gaza occupata, che ha causato l’uccisione di oltre 41.500 persone e l’esodo forzato di un milione e 900.000 palestinesi. Sicuramente un tribunale più distaccato, quale quello di una Storia oggettivamente documentata, giudicherà più serenamente i due atroci eventi e le cause che li hanno determinati.

Doron Steinbracher riabbraccia la madre Simone

La cronaca dell’attuale fragile tregua ci riporta alle immagini delle piazze in festa dell’una e dell’altra parte; alle colonne che trasportano aiuti umanitari a popolazioni inermi ed affamate, simile a nuova manna che scenda dal cielo; ai fiumi silenti di sfollati che tornano nei luoghi dove erano le loro case, rinnovato esodo di un intero popolo che rimanda a quello ebraico deportato, dopo la conquista nel 597 a. C. di Gerusalemme dal re babilonese Nabucodonosor. Tacciono, quindi, finalmente le sirene di allarme ed i boati dei bombardamenti, mentre riecheggia solitaria la voce del Papa che dice grazie ai mediatori della tregua per Gaza e auspica che gli ostaggi possano tutti tornare a casa, che vengano inviati subito aiuti umanitari alla popolazione stremata.

Restano, invece, inalterati i volti e la ferocia dei tiranni e torturatori, siano quelli coperti ed anonimi dei miliziani armati di Hamas o quelli dell’ultradestra israeliana come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, fermamente contrario all’accordo tra Israele e Hamas, che si è dimesso di fronte alla possibilità di una tregua con Gaza.

Contro questa logica fondamentalista di annientamento dell’altro, basterebbe citare i versi di Bertold Brecht che così ammoniva nel 1939: “Sul muro c’era scritto col gesso:/vogliono la guerra. /Chi l’ha scritto/è già caduto”.

Adele Reale

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