NAPOLI – Sono momenti tristi quelli che si stanno vivendo in questo periodo legati ad una perdita tanto clamorosa quanto dolorosa di Papa Francesco, segno inequivocabile di una realtà più grande, più densa, più sacra. Dall’altra parte, tempestati come siamo da notizie, immagini e (ahimè) commenti, sembra che si faccia di tutto per distoglierci dal fatto, da ciò che è successo, dal dolore che ci ha colpito. A tutti livelli sembra che l’importante non è appunto la morte di un Pontefice ma l’agglomerarsi di scoop, di notiziole, di dettagli che poco hanno a che fare con l’evento in sé. Certo viviamo in un mondo fatto di “quanto più dico tanto più ho like” senza badare al contenuto, alla verità, all’importanza di ciò che si dice (un po’ alla Ferragni o alla Fabrizio Corona) ma disinteressarsi di ciò che la realtà in primis dice è fatto grave.
Non erano passate neanche poche ore dal comunicato del camerlengo Farrel che già si vociferava sul come era stata data la notizia, su chi l’avesse data, sull’importanza di ciò che accadeva e soprattutto sulla impossibilità di svolgere attività consuete interrotte appunto dal fastidioso accadimento che rompeva schemi e ordini precostituiti. Entrare nella moltitudine e nella scempiaggine di commenti fatti da persone fuori da una semplice coscienza del vivere crea una perdita di tempo ma leggerne le motivazioni fa rendere conto di quanta insensatezza serpeggi nelle teste vuote di taluni personaggi che, per fortuna non sempre, condizionano il modo di giudicare il quotidiano.
Difficile parlare di un Papa, già lo è per persone di un certo rango, ancor di più per un padre, un pastore, un testimone, un’eccellenza, un uomo simbolo di un ambito, di una storia, di un’umanità. Difficile parlarne e allora, come si dice, meglio il silenzio, cioè non parlarne. Di certi uomini invece sarà difficile ma bisogna parlarne eccome, urlare la vita, la storia e la testimonianza che portano e che lasciano in eredità a tutti. Facile criticare, facile trovare cavilli proprio dai più “fuori contesto” che parlano di tematiche che non sanno, che non vivono. Bisogna parlarne e imitarne i modi, il cuore, il senso di tanto bene che hanno trasmesso; del significato più vero del vivere, del tempo e dello spazio da concedere a Chi ha dato la vita per noi.
E in questi giorni, colmi della gratitudine per avere avuto un Papa così, una cosa balza, stonata, inopportuna nei commenti, nei discorsi, nelle “profonde” osservazioni fatte sui social. Un muso storto per i troppi servizi dedicati al Papa, il campionato di calcio che “purtroppo” ha saltato la giornata o rinviata (come si fa? E i tifosi cosa faranno? E le scommesse, i biglietti acquistati, le trasferte? Oddio come si farà senza la giornata dedicata al Santo gol?). Un rito degno della più banale considerazione, un mondo pilotato da meri interessi economici, di diritti televisivi da vendere, di immagini da mostrare, di contratti da sostenere, di persone da tenere appiccicate alla tv. Come si fa a rinviare tutto questo per la morte di un Papa?
Si è troppo spesso così distanti, così insensibili, così poco legati alla storia, alla tradizione, alla realtà. Quasi come se desse fastidio; all’indifferenza si aggiunge questo qualcosa che non c’entra. Si ascoltano commenti di ogni genere dimenticando, trascurando offuscando ma soprattutto censurando la testimonianza di fede, di carità e di speranza che Papa Francesco ha fatto. Sovviene una canzone degli Zafra, un gruppo musicale italiano che riprendeva negli anni ’70 tematiche di lavoratori del sud America quando in una canzone, parlando di un operaio caduto dall’impalcatura mentre lavorava e cercava di portare a casa qualcosa da mangiare, creava ostacolo al passeggio essendo “caduto contromano intralcio per il traffico”. Non può essere così per Papa Francesco. Testimone di fede, speranza, carità.
Innocenzo Calzone
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