//Febbraio 1971, terremoto a Tuscania

Febbraio 1971, terremoto a Tuscania

di | 2022-02-06T07:12:26+01:00 6-2-2022 7:05|Top Blogger|0 Commenti

Sono trascorsi 51 anni, ma quel tragico evento resta impresso nella mente e nel cuore dei tuscanesi, soprattutto quelli che vissero in diretta la distruzione del loro paese, della loro casa. Sabato 6 febbraio 1971, in pieno carnevale, erano da poco passate le 19 quando una prima scossa tellurica investì Tuscania, paese dalle origini etrusche a una manciata di chilometri da Viterbo, capoluogo della Tuscia laziale. Più tardi, alle 22.25, un’altra scossa ancora più distruttiva che fece registrare una magnitudo momento di 5.2 e un’intensità stimata tra il VIII e il IX grado della scala Mercalli. L’epicentro fu segnato tra Arlena di Castro e Tuscania e fu proprio quest’ultima a subire i danni più gravi. Si contarono 33 vittime tra cui tre bambini; gli sfollati oltre quattromila, più della metà degli abitanti. La maggior parte delle antiche abitazioni, prive di fondamenta, si accartocciano su se stesse. La gente si riversò in strada in preda alla disperazione. Polvere ovunque, lamenti, urla di dolore. Si scava a mani nude per salvare la gente bloccata sotto le macerie e soccorrere i feriti. Già dal giorno successivo al sisma si mise in moto una catena di solidarietà che coinvolse tutta Italia. Tra i giovani volontari ad arrivare per primi furono gli studenti dell’Università La Sapienza di Roma.

I vigili del fuoco rimuovono le macerie a Tuscania

I centri prossimi a Tuscania rimasero praticamente illesi, a parte qualche danno lieve ad Arlena di Castro. Il terremoto fu avvertito anche a Tarquinia e Civitavecchia. Chiuso per evidenti lesioni il ponte sul fiume Marta, lungo la strada che da Viterbo porta a Tuscania.
Secondo gli esperti i motivi più probabili di un danneggiamento così intenso per una magnitudo contenuta sono stati la bassa profondità ipocentrale e l’estrema vulnerabilità del centro storico che all’interno delle mura cittadine venne praticamente raso al suolo. Più del 60% delle case vennero dichiarate inagibili.

Le scosse furono avvertite anche a Viterbo da dove partirono i primi soccorsi. Sul posto arrivarono vigili del fuoco, carabinieri, militari dell’esercito, agenti di polizia, volontari. Il ministero dell’Interno mise subito in moto la macchina dei soccorsi.
Alle prime ore dell’alba del giorno successivo venne allestita una tendopoli con oltre mille posti in località Guadigliolo, completa di cucina da campo, infermeria e servizi. Gravissimi i danni alle abitazioni e al patrimonio artistico di cui è ricco il paese. Il giorno dopo sul luogo del terremoto arrivarono in elicottero il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, e il capo del Governo, Emilio Colombo.
Le operazioni di ricostruzione iniziarono già una settimana dopo il sisma nella parte esterna al centro storico dove vennero costruite le prime nuove abitazioni (il cosiddetto quartiere Gescal). Merito anche della mobilitazione di una popolazione “testarda e tenace, di antico lignaggio etrusco, legata mani e piedi al territorio”, come in quei giorni scrissero alcuni giornali nazionali.

Eppure non mancarono le polemiche. Motivo del contendere era recuperare il centro storico o trasferire gli sforzi al di fuori delle mura cittadine realizzando nuovi palazzi, nuove abitazioni. In quei giorni su un muro apparve una scritta: “I soldi per le chiese sì, per le case no”. Ma alla fine, visti i risultati, il compromesso sembra aver accontentato tutti: nuove abitazioni al di fuori delle mura ma anche il recupero del centro storico.

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