TARANTO – Il 6 febbraio 1978, in un incidente stradale, perdeva la vita Erasmo Iacovone, attaccante del Taranto che all’epoca militava in serie B. Aveva 26 anni e la moglie Paola Raisi era incinta. Con la maglia rossoblù disputò in tutto 47 partite (in circa un anno e mezzo), segnando 16 gol. Non tantissimi, è vero, ma quelle reti fecero (per la prima ed unica volta nella travagliata e tormentata storia calcistica cittadina) sognare la promozione in serie A. Chi scrive, quel giorno doveva sostenere un esame universitario (lo scritto di Fisica II, che non andò benissimo, a dire il vero); non esistevano i telefonini, non c’era Internet e le prime frammentarie e già tragiche notizie furono reperite alla stazione di Taranto poco prima di partire per Bari.
Al rientro, la drammatica conferma: Erasmo era morto e un’intera città (non solo il popolo tifoso) era in lutto e lo piangeva come un figlio. I funerali si svolsero il giorno seguente; dopo le esequie religiose, una commovente commemorazione all’interno dello stadio “Salinella”: sotto una pioggia battente, il feretro fu portato a spalla dai compagni di squadra; sugli spalti, almeno ventimila persone (compreso il sottoscritto). Molte di più di quelle che avevano assistito all’ultima partita di Iacovone: 0-0 contro la Cremonese, il cui portiere (Ginulfi) quella domenica gli aveva parato tutto. Due giorni appena dopo la sua morte, gli venne intitolato lo stadio (che ancora oggi porta il suo nome); nel 2002, una statua, realizzata dallo scultore Francesco Trani, fu posizionata nella piazza prospiciente l’impianto sportivo.
Lo struggente ricordo di Erasmo Iacovone è affidato alla penna sensibile di Fulvio Paglialunga, fraterno amico e collega di valore, oggi giornalista alla Rai.
ni.sa.
Anche nell’anno più brutto della nostra vita da tifosi, arriva il 6 febbraio. Il 6 febbraio arriva sempre, come una condanna, un richiamo del dolore, non bastasse quello per aver scelto di tifare per la nostra squadra. Oggi è il giorno in cui Taranto si veste a lutto, in cui chi tifa, ama, combatte per i colori della nostra città piange e ricorda quella volta, quell’unica volta in cui potevamo diventare grandi ma quel gran bastardo del destino, o come si chiama, ha portato via da questo mondo Erasmo, ci ha lasciato da soli.
Abbiamo sognato solo con Iacovone in campo, poi è morto lui e anche noi. Lui travolto da un’auto velocissima, rubata, inseguita dalla polizia, a fari spenti. Noi imprigionati in quell’attimo che abbiamo vissuto o abbiamo raccontato, per sempre diffidenti nei confronti della felicità, perché pensiamo di non meritarla se solo per averla accarezzata la punizione, 47 anni fa, è stata così devastante.
Siamo i fratelli, i figli, gli amici, i devoti di Erasmo Iacovone, il centravanti più forte della storia del mondo, perché il mondo quando gioca il Taranto siamo noi. Siamo quelli che ora vedono vilipesa una maglia che ha indossato anche il nostro eroe, e speriamo ci perdoni se non ci siamo opposti abbastanza per evitare che finisse così. Siamo quelli che nel 1978 c’erano, o se non c’erano hanno sentito tutto il trasporto dei racconti fino ad abitare tutti insieme quell’infame passato. Ho indossato questa maglia, stamattina, come ogni anno in questo giorno, l’ho fotografata. Con quel nome dietro la schiena che unisce mio padre sotto la pioggia nel giorno del funerale di Erasmo, me che del compito di tramandare la vita del nostro patrono laico ho fatto una missione, il mio figlio che di Erasmo ha fatto un’emozione e il più piccolo che avvolto in quella maglia ha varcato la soglia del mondo. Quel nome che unisce me a tutti i fratelli di Taranto, oggi tutti fratelli sul serio.
Abbiamo amato Erasmo Iacovone. Lo amiamo ancora. Ci tiene in piedi lui, in questi giorni umilianti della nostra vita. Anche se è morto così, ma tanto è vivo. Per sempre.
Fulvio Paglialunga
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