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Energia, mancano risposte lungimiranti

di | 2022-09-04T09:08:21+02:00 4-9-2022 6:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

RIETI – “Questa non è un’esercitazione”: siamo pronti ad entrare in una economia di guerra, quando acqua, luce, gas, alimenti, erano razionati? Non facciamo finta di niente e soprattutto facciamoci tutti un esame di coscienza, cittadini e partiti politici, perché non abbiamo imparato niente, non abbiamo preso provvedimenti, eppure i segnali c’erano tutti, non solo dopo la crisi finanziaria del 1929, ma soprattutto dopo la prima crisi energetica del dopoguerra, quella del 1973/74 (e conflitti successivi).

Nell’ottobre del 1973, il giorno dello Yom Kippur, l’esercito egiziano attaccò Israele dal Sinai, quello siriano attaccò dalle alture del Golan. Israele vinse dopo una ventina di giorni ma nel frattempo, le nazioni anti-americane alleate di Egitto e Siria raddoppiarono il prezzo del petrolio e diminuirono del 25% le esportazioni, in contrasto con la Nato e Stati Uniti alleati di Israele. Gli altri paesi arabi appartenenti all’OPEC (l’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio, nata nel 1960 con l’accordo tra Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Venezuela, cui negli anni successivi si aggiungono Qatar, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Libia, Nigeria, Indonesia, Ecuador e Gabon) bloccarono le proprie esportazioni di petrolio verso Stati Uniti e Paesi Bassi con un embargo fino a gennaio 1975.

Le domeniche a piedi degli anni Settanta

In Italia entrò in vigore il piano nazionale di “austerity economica” del governo presieduto da Mariano Rumor con le prime domeniche a piedi, l’impennata di vendite di biciclette, la fine anticipata dei programmi televisivi, riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale, una riforma energetica complessiva con la costruzione, da parte dell’Enel, di centrali nucleari per limitare l’uso del greggio. La Norvegia trovò nuovi giacimenti petroliferi nei fondali del mare del Nord, si mosse l’interesse verso nuove fonti di energia alternative come il gas naturale e l’energia atomica, si diffuse la consapevolezza della fragilità e della precarietà del sistema produttivo occidentale, dovuto alle fonti energetiche. Il sistema industriale entrò in crisi, perché mancavano le risorse per trasformare e modernizzare gli impianti industriali, che si avviarono a una lenta decadenza. Furono i combattimenti tra Iran e Iraq a porre fine alle alte tariffe petrolifere: Arabia Saudita e altri membri dell’OPEC aumentarono l’estrazione di petrolio e il prezzo diminuì.

Morale? Una guerra provocò l’aumento, un’altra guerra determinò la diminuzione: non si riescono proprio a trovare alternative pacifiche? Dopo il 1973 si cominciò a parlare di “ecologia” e di “risparmio energetico” e se ne continua a parlare, senza prendere serie iniziative, ma la cosa peggiore è che adesso siamo ancora più dipendenti dalle fonti energetiche, rispetto al 1973. Non si può fare a meno di Internet, abbiamo centinaia di emittenti televisive che trasmettono ininterrottamente, non c’è più il vuoto a rendere, le confezioni dei prodotti sono spropositate e producono rifiuti: il carrello della spesa è per metà pieno di plastica, carta, cartone, cellophane, polistirolo, che finiscono subito nella spazzatura. Privilegiamo i supermercati, le grandi distribuzioni, gli acquisti online (con grandi imballaggi e traffico dei corrieri), mettendo in crisi i negozi di prossimità. Non è questo il progresso.

Ieri il petrolio, che aumentò del triplo, ora il gas il cui prezzo è alle stelle, con le forniture ridotte da Gazprom e i più colpiti, oggi come allora, siamo noi europei, che non abbiamo saputo, voluto o potuto risolvere la dipendenza energetica. Eppure con il solare, l’idrogeno (indicato da Carlo Rubbia), l’eolico, lo sfruttamento delle onde del mare, alternative ce ne sono e per quanto riguarda la siccità e la carenza idrica, ormai evidente con i cambiamenti climatici, anch’essi previsti e prevedibili, nessuno ha parlato di desalinizzazione, in un paese, come l’Italia, circondato dal mare, né di serbatoi di accumulo dell’acqua piovana, canali di irrigazione. Continuiamo nelle abitazioni a scaricare il WC con l’acqua potabile, senza il riciclo di lavatrici, lavastoviglie, acqua piovana, si inizia solo ora a parlare di ‘comunità energetiche’, siglando accordi tra comuni e cittadini. Ieri no a nuove trivellazioni, oggi sì alle trivellazioni; gassificatore a Piombino sì, gassificatore no, alta velocità sì, alta velocità no. Siamo isterici e la politica ci rispecchia in pieno.

Nuove centrali nucleari sarebbero pronte tra diversi anni, in un territorio sismico, a rischio di dissesto idrogeologico, nessuno dice dove costruirebbe una centrale, né dove porterebbe le scorie nucleari e soprattutto nessuno si ricorda del nostro no al referendum sul nucleare, senza contare che, mentre si comincia a parlare anche di razionamento idrico, le centrali nucleari hanno bisogno di molta acqua per raffreddare il nucleo. E mentre l’occidente faceva la cicala, la Cina in questi anni ha fatto la formica, ha guardato avanti mentre noi ci guadavamo la punta del naso (e la politica ai risultati elettorali): oggi è lei ad avere le più ingenti riserve di tutto ciò che serve, primo fra tutti il litio, necessario alla ricarica delle batterie: Pc, auto elettriche, cellulari.

Svegliamoci dal torpore e organizziamoci.

Francesca Sammarco

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