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Donne e calcio, binomio sempre più inevitabile

di | 2025-01-06T18:22:40+01:00 12-1-2025 0:05|Sezione 2, Sport|0 Commenti

VITERBO – Il mondo del calcio, specchio brutale della società contemporanea, è un terreno di scontro dove il potere maschile resiste con una ferocia imbarazzante. Sempre più donne stanno abbattendo porte che un tempo erano serrate, imponendosi come arbitri, allenatrici, dirigenti e giornaliste. Ma il prezzo da pagare è altissimo, e non è solo fatto di sacrifici: è fatto di insulti, insinuazioni e di una costante e assurda necessità di giustificare il proprio valore.

Una lotta contro il sessismo quotidiano La presenza femminile nel calcio non è più un’eccezione, ma una realtà in crescita. Eppure, il sessismo persiste, come una ferita che non si vuole rimarginare. Quante volte si sente dire: “Se è arrivata lì, deve aver fatto favori a qualcuno”? Questa frase non è solo offensiva, è una dichiarazione di guerra contro il merito. Dietro quelle parole si nasconde la paura di un cambiamento inevitabile, che spaventa chi si è abituato a un mondo costruito su privilegi di genere. Questa narrazione tossica non si limita a commenti da bar, ma si manifesta anche in ambienti professionali, dove le donne devono costantemente dimostrare di essere due, tre volte più capaci dei loro colleghi maschi per ricevere la metà del rispetto. Questo è il vero scandalo: non solo l’ostilità, ma l’indifferenza di chi permette che certe dinamiche continuino a esistere.

Sempre sotto esame Le donne che lavorano nel calcio, come in molti altri settori considerati prettamente maschili, sono sempre sotto la lente d’ingrandimento. Non basta essere brave, bisogna essere impeccabili, perché ogni errore è un pretesto per screditare tutto il genere. Gli uomini partono avvantaggiati: la loro competenza è data per scontata, quella delle donne deve essere provata in continuazione, come se il loro diritto a occupare certi spazi fosse sempre in discussione. E non si tratta solo di dimostrare competenze tecniche o leadership: le donne devono anche difendersi da giudizi legati all’aspetto fisico, al carattere, persino al tono di voce. È una fatica incessante, che prosciuga energie e avvelena ogni successo.

Storie di successo e resilienza Nonostante tutto, molte donne hanno dimostrato di poter eccellere in un campo che sembrava vietato. Stephanie Frappart, prima arbitra a dirigere una partita di Champions League maschile, e Sara Gama, capitana della Nazionale italiana femminile, sono solo due esempi di donne che hanno rotto schemi e pregiudizi. Ma è giusto che ogni successo debba essere una battaglia? Perché il talento femminile non può semplicemente essere riconosciuto e rispettato? In Italia, il professionismo nel calcio femminile è stato riconosciuto solo di recente, un segnale positivo ma tardivo, che conferma quanto siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi. E questo ritardo non è casuale: è il prodotto di una mentalità che continua a relegare le donne a ruoli marginali o decorativi.

Cambiare le regole del gioco Affrontare questi pregiudizi non è solo una questione di equità, è una necessità. Le istituzioni sportive devono agire con decisione, adottando politiche che non si limitino a includere le donne, ma che le valorizzino realmente. E i media? Hanno un ruolo fondamentale. Basta con le narrazioni sessiste e riduttive: è tempo di raccontare storie che rispettino la professionalità e il valore delle donne nel calcio. La società deve smetterla di aspettarsi che le donne dimostrino continuamente il loro diritto a stare dove sono. Hanno già dimostrato tutto: ora tocca agli uomini fare un passo indietro e riconoscere che la competenza non ha genere.

Una sfida per tutti La lotta delle donne per affermarsi nel calcio non è una questione privata, è una battaglia collettiva. Ogni pregiudizio abbattuto, ogni conquista ottenuta, è un passo avanti verso una società più giusta. Ma è anche un richiamo: smettiamo di tollerare la grettezza, l’ignoranza e il sessismo.

Il calcio, come la vita, appartiene a chi ha il coraggio di sognare e la forza di lottare.

Alessia Latini

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