RIETI – Un “Diamanti” è per sempre. Il quindicesimo film di Ferzan Özpetek è come il titolo, un gioiello per il valore che esprime: la resistenza, la durevolezza dello spirito femminile, la solidarietà, tutte sono allo stesso livello, nessuna primeggia sulle altre. Caro Ferzan, hai scritto prima la sceneggiatura pensando alle attrici alle quali volevi proporla, o viceversa? Una sceneggiatura senza una sbavatura, ognuna, indipendentemente dal ruolo, anche se è un cameo di pochi minuti (come i ruoli di Milena Vukotic, Elena Sofia Ricci), di poche parole, ma di profondi significati, è perfetta, lascia il segno, arriva dove deve arrivare.
E’ uno di quei film che bisognerebbe vedere due volte: la prima siamo concentrati e incuriositi, vogliamo seguire la trama, la seconda volta si va in profondità, apprezzando di più i dialoghi, i primi piani intensi. Tra passato e presente, realtà e finzione, storie e drammi personali, fantasmi del passato, il film è un omaggio al cinema, all’arte, alla passione per il proprio lavoro, alla capacità di reagire e rimboccarsi le maniche, alle donne solidali tra loro “siamo formiche, sembra che non contiamo niente, ma quando ci mettiamo insieme…”. Donne apparentemente forti, che nascondono drammi familiari, donne insicure di sé, anche se hanno vinto un Oscar (Vanessa Scalera nel ruolo di Bianca Vega che presenta il bozzetto del costume da realizzare), che si mettono in discussione alla prima occasione e che poi rinascono.
Mara Venier è più che mai ‘zia Mara’, chioccia di tutto il ‘vaginometro’, come lo definisce Geppy Cucciari, proprio nelle prime scene: siamo ai giorni nostri, intorno al tavolo, durante il pranzo appositamente convocato, lo stesso Ozpetek, spiega il copione e i ruoli, con diciotto protagoniste donne e pochi uomini. Si entra e si esce dai locali della famosa sartoria cinematografica Tirelli, nella Roma degli anni ’70, dove hanno visto la luce costumi per cinema e teatro (Visconti, Fellini), frequentata dal regista, amico dello stilista Piero Tosi, evocato nel film. Un film corale (nemesi per Vinicio Marchioni, personaggio positivo nel film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, qui è un marito violento). Si torna più volte alla tavolata in cui si discutono i ruoli, Elena Sofia Ricci non vuole essere la madre delle due sorelle Canova, titolari della sartoria (Luisa Ranieri, Jasmine Trinca), ma sarà lei a dire l’ultima parola, nella sartoria ormai vuota, ma piena di ricordi “alla fine quello che conta è ciò che resta dentro di noi’.
Il film mostra quanto nel cinema ci siano capacità, dedizione, sacrificio, collaborazione, spirito di gruppo per raggiungere l’obiettivo comune. Tutte le sarte concorrono all’elaborazione del costume, criticato da Stefano Accorsi, il regista del film storico, sempre scontento, esigente e capriccioso. Il costume deve essere indossato da una donna che deve affrontare il padre e deve essere quindi importante, ben equipaggiato, imponente, come a porre una barriera fisica tra padre e figlia “il costume non deve vestire, ma deve permettere all’attrice di entrare nel personaggio”.
La realizzazione è difficile e controversa, fino alla soluzione finale. La regia si sofferma sui primi piani, scruta, si muove in mezzo alle ‘formichine’, senza pesantezza, ma con gentilezza, ironia, allusioni, permette di cogliere il carattere e lo stato d’animo di ogni singolo personaggio. E nessuno è banale o scontato. La sceneggiatura è scritta a sei mani con Carlotta Corradi ed Elisa Casseri, la colonna sonora, composta da Giuliano Taviani e Carmelo Travia, come in tutti i film di Ozpetek lascia il segno con inediti di Mina e di Giorgia. “Di questa eternità saremo noi diamanti” canta Giorgia e il regista dice alle attrici ‘Voi siete i miei diamanti’.
Francesca Sammarco
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