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Daniele, “battaglia di pace” in Ucraina

di | 2022-05-29T10:05:10+02:00 29-5-2022 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

VAGLIAGLI (Siena) – Un uomo di fatti. Un uomo di gesti. Un uomo concreto. Questo è Daniele Bellofiore più noto con il più evocativo Daniele Unpostonelmondo, il “fantasma”, come è solito farsi chiamare. Un ossimoro solo apparente. Lui entra ed esce dall’Ucraina da mesi come uno spettro, spinto da un forte spirito di umanità e protetto dalle preghiere di chi lo sostiene. Anche se lui in Dio non crede, tra i commenti che si leggono sui social, in diverse lingue, in tanti continuano a definirlo un angelo, un eroe, un fratello e pregano per lui e per il suo “custode” e “protetto”, Stefano.

Al centro rifugiati di Brasov

Daniele è giunto all’ottava missione, le prime si sono svolte lungo il confine, in particolare quello polacco e rumeno, le altre oltre le colonne d’Ercole. In quel girone dove maggiormente serve aiuto e in pochi hanno il coraggio di spingersi. Si è insinuato, insieme al suo ormai fidato compagno di ventura, Stefano Torelli, in luoghi fotogrammi dell’orrore, dentro ad alcuni villaggi dove mai nessuno, dal 24 febbraio, era mai arrivato, a due passi dal Mar Nero, sotto le bombe, rischiando solo per portare aiuto. L’elenco delle persone evacuate da Daniele e Stefano è davvero lungo, basta scorrere le sue foto e i video, ma oltre ai recuperi diretti ce ne sono anche tantissimi altri realizzati attraverso il suo coordinamento a distanza con altri gruppi che hanno riportato vite e lasciato viveri, attrezzature e medicinali: c’è una rete dietro ogni missione.

Un lungo cammino in più tappe durante il quale ha attraversato e portato beni provenienti dall’Italia e da zone di confine, verso mete sotto assedio: Kiev, Odessa, Kharkiv, Trihatki, Bucha, Irpin, Cherkasy, Mykolaiv per citare solo le principali. Zone difficili da raggiungere e in cui si rischia il tutto per tutto. Sono tanti gli incontri vissuti in Ucraina a cui sono seguiti lunghi addii o, forse, arrivederci. Istantanee che immortalano attimi di lingue diverse, ma con l’universale linguaggio della fraternità umana, attraverso un rituale che appare quasi di “normalità” come un pasto frugale, un bicchierino o una carezza ai cuccioli. Nei video i due appaiono spesso sorridenti, cercano di divertire i passeggeri e di stemperare la tensione, alcuni non sembrano girati in un luogo di guerra se non fosse per la cornice di distruzione, ma i volti fanno trasparire la stanchezza e le borse sotto gli occhi dicono di notti insonni.

E Daniele non aiuta solo chi la guerra la subisce in prima persona, ma ha dato voce e forza a chi da lontano vuole partecipare ma non sa come. Tra questi il dolcissimo Gabri che insieme alla sua mamma Maria è tra i “followers” più attenti.

Chi è Gabri?

Nel villaggio di Trihatki

“Gabri è il mio amore: un ragazzo autistico, una persona diversamente colorata. E’ la forza che mi arriva quando sono in Ucraina e magari sta suonando l’allarme antiaereo. E’ il mio amore, la mia motivazione, perché in lui trovo la  voglia di andare avanti”.

Come?

“Grazie ad un video in cui canta ‘Generale’ di De Gregori o magari mentre legge una pagina del mio libro e mi saluta. Gabri è la forza, è il coraggio di essere piccoli ma di fare cose da grandi, è la speranza, è la prova che i limiti possono essere un’opportunità. Gabri è un tesoro diversamente unico e terribilmente profondo. Ha i colori dell’anima”.

Giunto all’ottava missione e in procinto di ripartire per la nona e decima: dove inizia la paura e dove il coraggio?

“Io credo che chi fa questo tipo di missioni dentro a una guerra di cecchini, missili e artiglieria, soprattutto quella russa, una guerra che non si combatte solo sul fronte militare, la paura deve avercela. Ho visto con i miei occhi quei luoghi, ho visto quel che resta di Bucha, Kiev, Irpin e Odessa. Ho visto come i missili vanno a colpire obbiettivi civili, case, ma anche ristornati, centri culturali, asili, alberghi senza alcun distinguo ed è impossibile non avere paura. La paura nasce dal non avere certezza di quando e dove cadranno i colpi, non ci sono posti dove sentirsi mai al sicuro. Nessuno può dire di non avere paura in Ucraina, sarebbe da incoscienti. Io e Stefano cerchiamo di trasformarla, più che in coraggio, nello stimolo a essere sempre attenti, cerchiamo di trovare i contatti giusti per muoverci con discrezione nel territorio e per evitare rischi. Ma la paura, se decidi di entrare in quei territori, non può diventare in nessun modo un freno, ci devi convivere, concentrati su quello che è lo scopo più alto: portare a termine un’azione di solidarietà”.

E adesso in preparazione ci sono il nono e il decimo…

Irpin, una città rasa al suolo

“Dopo il nono e il decimo ci sarà un piccolo rallentamento, lavoreremo soprattutto dall’Italia. I prossimi saranno i viaggi più delicati, torneremo a Irpin, Bucha, Kiev ovvero dove ci sono stati espressamente richiesti  aiuti umanitari, ma il percorso e i luoghi precisi non posso dirli se non dopo essere tornato o essermi allontanato, sarebbe rischioso. Andremo a Kharkiv dove ci sono altri volontari che danno una mano sia ai militari che alla popolazione civile ed è una zona colpita e fortemente ambita dai russi; andremo a Mykolaiv. Proprio per Mykolaiv è arrivata una richiesta di un papà italiano, un ex militare, che ha due figlie al fronte nella zona meridionale. Ci ha descritto una situazione sanitaria drammatica, si parla di interventi chirurgici senza anestesie, si registra mancanza di cibo e medicine. Io non ho saputo dire di no: è un papà con una malattia purtroppo grave e noi abbiamo risposto al suo appello”.

Con te c’è sempre un ragazzo dalla voce timida ma chiara: Stefano.

“E’ ormai un fratello, in questi viaggi è stato fondamentale per le missioni nonostante per lui sia stata la prima volta. Siamo cresciuti in questi mesi e abbiamo fatto molta esperienza. Ci completiamo: dove finisce l’uno inizia l’altro. Queste esperienze creano legami che vanno oltre l’amicizia”.

Nei primi viaggi, comunque, il team era più numeroso.

“I primi viaggi li ho fatti con un gruppo di persone, delle prime missioni vorrei ricordare compagni meravigliosi come il giornalista Rosario Sardella o come il fotografo Ciro Cortellessa, sono state figure fondamentali e si sono fatti in quattro. Ma per entrare dentro un territorio di guerra è necessario muoversi in piccoli gruppi, ben affiatati, per non dare troppo nell’occhio, nel nostro caso siamo io e Stefano, bisogna discutere poco e agire con efficacia. E’ necessario anche essere emotivamente preparati a ciò che si trova e bisogna essere capaci di affidarsi a chi ha più esperienza. Stefano si è fidato di me e si è dato per la causa, affrontando con coraggio qualcosa di nuovo”.

Irpin distrutta

Si legge spesso nei post che siete fantasmi: perché?

“Ci muoviamo guidando due pulmini che abbiamo preso a noleggio, in modo veloce al di qua e al di là del confine dove cadono o non cadono le bombe, consegniamo, ci muoviamo velocemente e portiamo a termine le missioni tra varie difficoltà e poi torniamo indietro, senza farci notare. Come fantasmi, appunto”.

Cosa serve alle persone che si trovano nelle zone più a rischio?

“Beni di prima necessità, come cibo e medicine, soprattutto bende, garze, antidolorifici, medicinali ospedalieri. In questo momento la popolazione nelle zone colpite ha bisogno di cure e assistenza, in Ucraina servirebbe un impegno umanitario e sanitario maggiore”.

Il campo di Medyka

Come fate a sostenere le spese per pagare mezzi, aiuti, noleggi, alberghi, benzina…?

“Noi ci abbiamo messo tanto del nostro ma ci hanno anche sostenuto e per questo le ringrazio numerose persone fin dal primo viaggio, materialmente ed economicamente, la lista è lunga. Ma adesso abbiamo bisogno di un ulteriore sforzo per andare avanti, di un sostegno economico più consistente: noi non siamo scafisti, non ci guadagniamo nulla, siamo volontari, ma i costi sono molto elevati, non solo per il noleggio dei mezzi, ma anche per gli aiuti umanitarii”.

Oltre agli aiuti materiali?

“Un altro aiuto che servirebbe è quello mediatico, non ci sono solo i grandi eventi da raccontare come gli evacuati civili di Azovstal o un ospedale che crolla o i palazzi che bruciano, quella è solo una parte, fondamentale, ma solo una parte di ciò che succede. Servirebbe dare visibilità anche al resto, meno spettacolare ma altrettanto drammatico”.

Cosa hai lasciato in Ucraina?

“Ho lasciato tante cose, oltre a beni materiali ho lasciato lacrime colorate…”.

Le lacrime colorate: che significa?

“Tutte le volte che abbiamo lasciato un posto le persone piangevano lacrime colorate, non lacrime di tristezza ma di gratitudine perché si sono sono sentite considerate e assistite. Cosa ho portato indietro? Speranza e nuova fiducia, volti, carezze, sorrisi.. Alla fine ho ricevuto molto più di quello che ho dato”.

Dopo tanti anni di volontario, hai trovato delle somiglianze tra Africa e Ucraina?

“Mi ha colpito la capacità di accoglierci sempre (ed è stata una costante di tutti i viaggi) con il sorriso: in questo ho rivisto la mia Africa. Spesso dove c’è più dolore, c’è più gratitudine”.

Parlaci di Emozioni.

“Emozioni è il libro di Ciro Cortellessa, un fotoreporter che è stato con noi nelle prime missioni. E’ stato realizzato  in poco tempo per raccogliere fondi per i viaggi ed è un diario fotografico, accompagnato dalle parole che ho scritto sui social durante i primissimi viaggi, le mie ‘parole in libertà’. Dà uno scorcio di pensieri e immagini di quello che abbiamo vissuto insieme. Quello di Ciro è un lavoro straordinario, fatto con lo spirito di aiutarci e sostenerci, infatti il ricavato viene destinato alle nostre missioni”.

Cosa ti ha spinto a fare il volontario?

“Da quando sono ragazzino ho pensato che vivere non fosse solo respirare, cercavo uno scopo, il mio scopo. Penso che bisogna dare un senso al nostro viaggio su questo pianeta e il mio modo per dare un senso, oltre a coltivare le mie passioni, è dare una mano agli altri”.

Cos’è la guerra in Ucraina per te?

“Questa non è la mia guerra ma la mia battaglia per la pace nella quale siamo tutti coinvolti”.

E come si legge in uno degli scritti di Daniele Unpostonelmondo: “Combattiamo una guerra di pace, perché mi piacciono gli ossimori. Loro sono un popolo noi gente che prova a non voltarsi dall’altra parte”.

Alessia Orlando

Ps. Da qualche giorno sui social è partita una raccolta fondi per sovvenzionare le missioni di Daniele e Stefano a cui in tanti stanno aderendo. La raccolta fondi la si può trovare sulle pagine di Daniele Unpostonelmondo, di Stefano Torelli e su quelle di tutti i sostenitori o sul link https://gofund.me/e1a1084d.

 

Nell’immagine di copertina, Daniele Bellofiore con Stefano, amico inseparabile

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