//Dall’acciaio dell’Ilva alla gastronomia tipica

Dall’acciaio dell’Ilva alla gastronomia tipica

di | 2020-07-05T06:39:56+02:00 5-7-2020 6:42|Punto e Virgola|0 Commenti

“All’Ilva si muore, ci si ammala e non c’è futuro”. Cataldo Ranieri e Marco Tomasicchio in quello stabilimento siderurgico che sorge da quasi un sessantennio alle porte di Taranto, proprio al confine con il rione Tamburi, ci hanno lavorato per un bel po’ di tempo: 21 e 20 anni, rispettivamente. Hanno conosciuto le tante disgrazie che lì dentro sono avvenute e che si sono portate via decine di operai; conoscono sulla propria pelle i fumi e i veleni sputati dalle ciminiere e che le tante costosissime opere di bonifica ambientale non sono riusciti ad abbattere; sanno perfettamente i dolori di centinaia di famiglie che hanno perso congiunti, figli anche in tenera età, amici, conoscenti, vicini di casa strappati alla vita da cosiddetti mali incurabili. Che, d’accordo, si manifestano in tutte le altre zone d’Italia ma che lì, in quel lembo di profondo sud che si affaccia su un mare stupendo, hanno un’incidenza ben superiore che diversi approfonditi studi hanno inesorabilmente collegato alla presenza dell’acciaieria più grande (e più inquinante) d’Europa.

Cataldo (50 anni) e Marco (44) ad un certo punto della loro vita hanno detto basta: hanno accettato l’incentivo all’esodo e il 31 gennaio 2019 sono andati via. Non è stata una decisione semplice perché l’interrogativo che si sono posti e che si assilla altre migliaia di operai che ancora ci lavorano è sempre lo stesso: “E poi dove andiamo a mangiare? A casa vostra?”. Già, proprio così. Perché lasciare il “posto fisso” (chissà ancora per quanto…) significa perdere lo stipendio o gli ammortizzatori sociali ai quali sempre più spesso l’attuale (la multinazionale franco-indiana ArchelorMittal) e le precedenti proprietà hanno fatto ricorso. In qualche modo, però, bisogna ricominciare. Loro lo hanno fatto cambiando radicalmente settore e soprattutto stile di vita. “L’idea di base – spiegano – è stata quella di offrire qualcosa di differente per l’economia della città”.

Da qualche settimana hanno aperto al Borgo, nel centro storico della città, nei locali che per anni avevano ospitato il Bar Principe, la loro attività di gastronomia, sia d’asporto che da consumare sul posto. E come si chiama la rosticceria? Semplicemente “A casa vostra”, cioè proprio l’espressione che tante volte avevano pronunciato o ascoltato durante i turni in fabbrica quando si parlava di possibile e diverso futuro. Insieme al Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti (che da anni porta avanti la battaglia per la riconversione economica), è partita la sfida. Che non è stata facile e che ha impegnato tutti i soldi incassati per l’uscita volontaria dall’ex Ilva. “Ci siamo rimboccati le maniche – confida Cataldo Ranieri – ma, nonostante le tante difficoltà incontrate, adesso siamo qui. Per avere l’allaccio dell’acqua abbiamo dovuto aspettare 9 mesi, ad esempio, “. Storie di ordinaria burocrazia che ormai in questa nostra Italia martoriata da ritardi, approvazioni, carte, documenti e inutili tecnicismi, non fa più notizia. “La situazione dell’Ilva – aggiunge  – la vedo tragica per i colleghi che vivono lo stesso stato d’angoscia che vivevo io quando ero all’interno. Quando il tuo destino è nelle mani altrui e nelle mani sbagliate purtroppo perché il governo, i sindacati, la politica, la magistratura, hanno deluso tutti. Per anni abbiamo detto ai colleghi: guardate che siamo 14mila, siamo un esercito e dobbiamo fare una scelta. Siccome sappiamo che nessuno metterà a posto questi impianti, per non essere licenziati chiediamo di programmare la chiusura della fabbrica, smantellare, bonificare, decontaminare. Potevamo fare tutto noi piuttosto che spendere tanti soldi pubblici e arrivare al punto di non avere né lavoro né salute”.

Nonostante le tantissime difficoltà incontrate non c’è alcun rimpianto per il passato né tanto meno per la scelta compiuta: “La gente che viene s’incanta, il locale piace molto”. I piatti preparati sono quelli della tradizione locale: semplici ma più che accattivanti, anzi proprio squisiti. Una forma di riconversione che non ha precedenti e che ha per protagonisti due ex operai che hanno preferito rischiare in proprio piuttosto che continuare a resistere in un impianto, la cui agonia è cominciata da decenni e che ora rischia seriamente di chiudere i battenti perché ArchelorMittal ha dichiarato senza mezzi termini che non intende continuare a produrre acciaio nella sede di Taranto. “Il vero obiettivo – sostiene Marco Tomasicchio – è costruire un’altra storia per questa città. Vogliamo realizzare un lavoro diverso, pulito, sostenibile, e avere anche l’appagamento di poter soddisfare le aspettative dei familiari e degli amici. Per noi è una rivincita e vogliamo essere un esempio per i colleghi che continuano a rischiare ogni giorno la vita in quel posto di lavoro. Devono avere il coraggio di abbandonare la fabbrica e investire in un futuro migliore e dignitoso per se stessi e per i propri figli”.

In bella evidenza nei locali di “A casa vostra” c’è una tuta blu, simbolo italico dei metalmeccanici. Per ricordare comunque un passato che non c’è più e del quale non si ha alcuna nostalgia.

Buona domenica.

 

 

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