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Così Angelo Aparo riscatta i detenuti

di | 2022-06-03T12:05:45+02:00 5-6-2022 6:10|Personaggi, Sezione 3|0 Commenti

MILANO – La musica protagonista in una location raffinata. Nella cinquecentesca villa Scheibler, nel quartiere di Quarto Oggiaro a Milano, in una fresca sera di primavera, si apre un graditissimo tributo a Fabrizio De Andrè, voluto dal presidente del “Gruppo della Trasgressione” (Trsg.band). Lo psicologo Angelo Aparo, soprannominato Juri, fin dai tempi del liceo, canta le “Storie sbagliate” del poeta genovese per raccontare quelle storie degli emarginati, dei carcerati, dei bistrattati dalla società, comprese le maldicenze, i pregiudizi di ogni genere ed età.

Nasce, a settembre del 1977, la storia professionale del siciliano Angelo Aparo che si presentò al portone del carcere di San Vittore, con poche certezze: “Sono lo psicologo”. E subito dopo varcò per la prima volta la soglia della prigione più nota del Paese. “A quel tempo ero uno dei primissimi psicologi del carcere”, ricorda. Poi, lavorando sull’esperienza di chi ha commesso pesanti reati e sulle loro emozioni, ha fondato nel 1997 il Gruppo della Trasgressione. L’attività psicologica del Gruppo è caratterizzata dagli incontri settimanali che si svolgono in carcere per creare opportunità fuori dal carcere, come ad esempio un ufficio per il collocamento e reinserimento nel tessuto sociale, senza rischiare di tornare a delinquere. I gruppi, seguiti da Aparo, sono un laboratorio di riflessioni, in cui detenuti, poi anche studenti e liberi cittadini coinvolti negli anni, indagano su temi di interesse comune, ragionando e lavorando su loro stessi.

Comunicare, abbattere i muri, dialogare, comprendere le motivazioni che hanno spinto l’individuo al reato, ma anche le origini e gli obiettivi più o meno consapevoli della trasgressione, le micro-scelte che fin da piccoli hanno costruito la strada della devianza, il rapporto con i genitori, con l’autorità. Tra le particolarità anche dare spazio alla creatività, così il Gruppo della Trasgressione si pone come obbiettivo di recupere e valorizzare funzioni e ruoli sociali utili, soprattutto per chi, lungo i percorsi della devianza, ha perso le tracce delle responsabilità del cittadino e del piacere di esercitarle. I dialoghi che – fuori – la società non permette, non valorizza, in carcere hanno una dimensione ben definita e determinate, tanto quanto i silenzi che caratterizzano i detenuti.

Aparo, in carcere, ha cominciato questa rivoluzione che è ancora in corso: arruola “soldati” che fanno la “guerra” a se stessi e al loro passato. La regola di ingaggio nel Gruppo della Trasgressione è uguale per tutti: per avere diritto di parlare, basta esprimere un teorema o una poesia; bisogna dimostrare di impegnarsi a imparare qualcosa. Alcuni devono scontare l’ergastolo, il “fine pena mai”. In una vecchia intervista Aparo scuote i suoi pazienti: “Ragazzi se non imparate a guardare le vostre reali emozioni, a dire a voi stessi la verità, non capirete mai perché siete diventati delinquenti dediti alla cocaina e alle pistole. Per quanto doloroso, bisogna che voi diciate a voi stessi cosa davvero provate pensando che qualcuno possa negarvi un diritto: quello di avere dell’acqua per vostro figlio, ad esempio. Perché solo così capirete la rabbia che vi ha portato a diventare dei delinquenti. Ed è giusto che scontiate la vostra pena. Che siate qui, in carcere. Ma quando vi rivolgete ad un giovane per aiutarlo a capire perché ha deciso anche lui di usare la cocaina e la pistola, cosa gli direte? Dovete partire dalle vostre ferite. Dalla vostra rabbia. Dalla comprensione di essere cresciuti senza una guida, violati nei vostri diritti. E di avere deragliato diventando assassini per questa ragione. Se volete diventare uomini migliori si parte da qui. Dal vostro dolore, dalla vostra fragilità. È quello che vi ha resi omicidi. Ed è per quello che scontate la vostra pena”.

Aparo sorride perché dentro il Gruppo della Trasgressione c’è una sfida, quella di aprire le porte a chi ancora non si è pentito. Coloro che sono ancora arrabbiati e violenti. Così lo psicologo coinvolge i detenuti, con la musica permette loro di “evadere” dalla dura realtà e portare fuori da quelle mura una visione del mondo diversa. Aparo canta Fabrizio De André, tra i maggiori poeti italiani del Novecento oltre che una figura di riferimento nel panorama musicale italiano, appellato come “il cantautore degli emarginati” o il “poeta degli sconfitti”, come valore aggiunto ai temi che lo stesso artista trattava e che i detenuti possono gridare. Tra le note di “Via del campo” e “Davvero, davvero” si cerca di andare oltre quei muri, oltre gli sguardi ed entrare nelle emozioni come insegna Fabrizio De André e interpreta eccezionalmente Angelo “Juri” Aparo.

Claudia Gaetani

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