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Riciclando mascherine usate, si possono costruire strade

di | 2021-06-17T22:38:52+02:00 20-6-2021 6:20|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

MILANO – La diffusione del Covid-19 e il conseguente lockdown hanno indotto notevoli cambiamenti. Se da un lato la diminuzione dell’emissione di CO2 dovuta alla minore circolazione delle auto ha migliorato la qualità dell’aria in molte città, dall’altro l’elevato utilizzo di prodotti usa e getta, come i guanti e le mascherine monouso, rappresenta una vera minaccia per l’ambiente a causa del difficile smaltimento. Tali oggetti vengono gettati per strada, finiscono in discarica, o peggio ancora ad inquinare mari e oceani. Si stima che ogni giorno siano 6,8 miliardi le mascherine usa e getta utilizzate in tutto il mondo, per un consumo mensile di circa 129 miliardi come risulta da uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology, rivista scientifica bisettimanale pubblicata dalla American Chemical Society.

Si pensi che solo nelle scuole italiane vengono distribuiti ogni giorno 11 milioni di mascherine chirurgiche e secondo le valutazioni dell’Ispra per l’anno 2020, nel nostro Paese la produzione giornaliera di rifiuti da mascherine oscilla tra le 160 mila e le 440 mila tonnellate. Si tratta di un’enorme quantità di spazzatura che impiega fino a 450 anni per decomporsi nell’ambiente e che non viene smaltita in maniera differenziata, ma che finisce in discarica oppure negli inceneritori. Molti paesi tra cui l’Australia e la Francia hanno compreso le proporzioni gigantesche del problema ed hanno cercato nuove strategie per risolverlo grazie a numerosi ricercatori che stanno lavorando sui modi possibili per riciclare queste montagne di rifiuti. In Australia si progettano strade partendo proprio dal riciclaggio delle mascherine che mescolate con altri materiali di scarto vengono utilizzate in diverse applicazioni di edilizia civile.

Il dottor Mohammad Saberian del Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT) ha iniziato la sua ricerca da una constatazione di fatto che l’ha indotto a riflettere e a cercare una strategia vincente. “La pandemia ha creato non solo una crisi sanitaria e finanziaria globale, ma ha anche avuto un impatto senza precedenti sull’ambiente”, racconta a Open e continua riportando dati oggettivi che fanno riflettere “a livello globale ogni giorno vengono generati circa 6,88 miliardi (pari a 206.470 tonnellate) di mascherine facciali, costituite principalmente da plastica non biodegradabile»”. Come riutilizzarle? In una sua ricerca pubblicata sulla rivista Science of The Total Environment spiega che utilizzando circa 3 milioni di mascherine si riesce a realizzare 1 km di strada a due corsie evitando di mandarle in discarica o nell’inceneritore, cosa che porterebbe a generare ben 93 tonnellate di rifiuti. “Le mascherine devono essere prima disinfettate e poi sminuzzate in strisce lunghe 2 cm e larghe 0,5 cm –  spiega Saberian –  ma vanno innanzitutto estratte dall’indifferenziato. Le mascherine facciali opportunamente “sminuzzate” possono migliorare la duttilità, la flessibilità e la resistenza delle strade. Infatti distribuite casualmente migliorano la resistenza allo stiramento tra gli aggregati”. E puntualizza: “Possono essere addizionate alle macerie di edifici note come aggregati di calcestruzzo riciclato per migliorare la resa del materiale, perché svolgono un ruolo di rinforzo nel legare le particelle di macerie. Ora si tratta solo cercare di collaborare con amministrazioni locali o aziende interessate a raccogliere le mascherine e a costruire un prototipo di strada”.

In Francia la startup Plaxtil di Châtellerault ha sviluppato un processo per riciclare le mascherine utilizzate: le trasforma in plastica utilizzabile per creare apri-porta o visiere protettive contro il virus. Il protocollo prevede che le mascherine, una volta raccolte, vengano tenute in “quarantena” per quattro giorni e poi irradiate con raggi ultravioletti per 30 secondi per la decontaminazione. A quel punto possono essere lavorate per essere riciclate, mescolandole con una resina che rende il materiale recuperato più duro e modellabile. In Italia invece si punta sulla creazione di oggetti in plastica di diverso genere.

Il professor Alberto Frache e il dottor Daniele Battegazzore del dipartimento di Scienze applicate e tecnologia dei materiali presso la sede di Alessandria del Politecnico di Torino stanno lavorando al problema del riciclaggio delle mascherine ampiamente utilizzate durante questo periodo. I problemi da risolvere sono diversi. Il primo è la raccolta che per esempio potrebbe partire dalle aziende o dalle scuole attraverso una campagna di sensibilizzazione appropriata grazie a progetti ad hoc, per esempio. Il secondo è la sanificazione. Spiega ancora Frache: “La ricerca che abbiamo pubblicato sulla rivista Polymers l’abbiamo fatta lavorando su mascherine nuove, non abbiamo le attrezzature per sanificare. Ma stiamo cercando, anche in collaborazione con altre Università, di verificare quali possono essere i passaggi da fare. Serve stabilire un protocollo adeguato e certificato”.

Il terzo sono i materiali che si possono ottenere. “Abbiamo pensato a quattro processi differenti per ottenere quattro materiali termoplastici con caratteristiche un po’ diverse l’uno dall’altro – spiega l’ingegner Battegazzore -. In generale si possono ottenere oggetti in plastica che possono essere stampati a iniezione oppure estrusi”. Partendo dal polipropilene che è il materiale principale di cui sono fatte le mascherine chirurgiche, si possono fare tastiere per pc, sgabelli, giocattoli, porta-cellulari: le possibilità sono davvero tante. Tutto dipende da cosa si decide di usare per “tagliare” le mascherine, cioè dipende dagli elementi di miscelazione. “Questo processo è fondamentale – riassume il professor Frache -. Si può e si deve pensare di usare dei rinforzanti, oppure degli altri polimeri che hanno delle performance migliori rispetto al polipropilene delle mascherine”. Dal momento che le mascherine sono diventate di uso quotidiano in tutto il mondo e tali resteranno per molto tempo ancora, è giusto che tutti i paesi si diano da fare nella ricerca per trovare mille modi per farne un riuso utile per tutti senza inquinare l’ambiente. Non resta che incoraggiare la ricerca motivando anche le nuove generazioni affinché facciano di questo problema una risorsa.

Margherita Bonfilio

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