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Clickbait, tanti click ma scarsa credibilità

di | 2025-06-13T17:54:02+02:00 15-6-2025 0:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

VITERBO – Clicca qui per scoprire perché il tuo cervello non può resistere! Il numero 7 ti sconvolgerà! Se questo incipit ti suona familiare, hai già avuto a che fare con il clickbait. Forse ci sei cascato. Forse hai cliccato. Forse sei ancora in attesa di scoprire il misterioso “numero 7”. Tranquillo, sei in buona compagnia. Il clickbait, letteralmente “esca da clic”, è una strategia di content marketing tanto vecchia quanto efficace. Consiste nell’utilizzo di titoli volutamente sensazionalistici, ambigui o esagerati per indurre l’utente a cliccare su un contenuto online. L’obiettivo? Aumentare le visualizzazioni e, di conseguenza, le entrate pubblicitarie. Più clic, più soldi. Semplice, no? Ma se la logica economica è evidente, le implicazioni culturali e informative sono tutt’altro che banali.

La promessa non mantenuta Il meccanismo alla base del clickbait è quello della curiosità manipolata. Un titolo vago ma intrigante stimola il bisogno umano di sapere. “Non crederai a cosa ha fatto questa celebrità!” oppure “Questo trucco da 5 secondi cambierà la tua vita!” sono formule che puntano tutto sull’effetto sorpresa. Spesso, però, la sorpresa è amara. A fronte di un titolo roboante, il contenuto effettivo può essere povero, irrilevante o addirittura fuorviante. In alcuni casi, il clickbait sfocia nella vera e propria disinformazione. Il confine tra esca e inganno, insomma, è sottile. E viene varcato con disinvoltura.

Il ciclo del disincanto digitale L’utente medio, inizialmente attratto, impara col tempo a riconoscere e schivare questi contenuti. Si sviluppa così un effetto boomerang: la testata che abusa del clickbait può guadagnare traffico nel breve periodo, ma erode progressivamente la propria reputazione. È un po’ come raccontare barzellette ai funerali: forse qualcuno ride, ma nessuno ti invita più. Lo dimostra l’andamento di molte piattaforme che, dopo anni di caccia al clic facile, stanno cercando di recuperare autorevolezza e fiducia. Facebook, ad esempio, ha modificato più volte il proprio algoritmo per penalizzare i titoli acchiappa-click, privilegiando contenuti considerati “di qualità”. Anche Google ha fatto lo stesso. Il motivo? La saturazione. Quando tutti gridano, nessuno ascolta più.

Quando il titolo diventa (troppo) protagonista In un ecosistema digitale dominato dall’informazione istantanea, il titolo non è più solo un’introduzione: è il prodotto. La maggior parte degli utenti consuma notizie solo leggendo i titoli, magari scrollando in metro o tra una call e l’altra. Il contenuto diventa accessorio, quasi superfluo. In questo scenario, il clickbait si nutre di superficialità. Ma attenzione: non tutti i titoli accattivanti sono da demonizzare. Un buon titolo deve incuriosire, sintetizzare, attrarre. È il mestiere del giornalista, dell’editor, del copywriter. Il problema nasce quando la forma prende il sopravvento sul contenuto, e quando l’interesse dell’utente viene usato, non servito.

Il clickbait è morto? Non ancora Nonostante le critiche, il clickbait non è affatto scomparso. Ha solo cambiato pelle. Oggi si mimetizza meglio: evita gli eccessi verbali più pacchiani e adotta un tono più sofisticato, ma l’intento resta lo stesso. Sui social, ad esempio, proliferano titoli come “Il post di questo papà ha fatto piangere tutto il web” o “Ecco perché non dovresti mai…”. Sono più eleganti, ma non meno manipolativi. Anche il video ha riscoperto il potere del clickbait. Miniature YouTube con facce esagerate, emoji, colori saturi e scritte cubitali (“SHOCK!”. “IMPOSSIBILE!”, “INCREDIBILE!”) sono diventate la nuova frontiera del clic facile. Per alcuni creator, è un’arte raffinata. Per altri, una scorciatoia per monetizzare.

Quale futuro per i contenuti online? Il clickbait è figlio di un modello di business che premia la quantità più della qualità. Finché la pubblicità verrà pagata in base ai clic, e non al valore reale del contenuto, le esche digitali continueranno a nuotare libere. Ma un’alternativa esiste. Alcune testate stanno sperimentando modelli di abbonamento, paywall intelligenti, sistemi di reputazione basati sulla fiducia. È la strada più lunga, certo. Ma forse anche l’unica per restituire dignità al contenuto e rispetto all’intelligenza dell’utente.

Nel frattempo, la sfida resta aperta: creare titoli capaci di attirare, senza prendere in giro. Incuriosire, senza falsare. Informare, senza tradire. È difficile? Sì. Ma come diceva Mark Twain, “dire la verità è la cosa più divertente che si possa fare senza togliersi i vestiti”. E se non ti aspettavi una citazione colta in fondo a un articolo sul clickbait, allora – ironicamente – ha funzionato.

Alessia Latini

 

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