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Celestino V, l’umile Papa del Giubileo

di | 2025-02-26T18:30:27+01:00 2-3-2025 0:01|Personaggi, Sezione 1|0 Commenti

FUMONE (Frosinone) – Quando nel 1292 Pietro da Morrone fu portato nel castello di Fumone, all’epoca la più importante fortezza d’avvistamento dello Stato Pontificio, era ormai prigioniero e lo sarebbe stato fino alla morte avvenuta in circostanze poco chiare, dopo qualche mese. L’eremita veniva punito, o meglio messo fuori gioco, per quello che Dante chiamò “il gran rifiuto”, ovvero l’abdicazione dal soglio pontificio su cui era salito con il nome di Celestino V. Si trattava di un fatto clamoroso, mai avvenuto prima e che solo in tempi recentissimi Ratzinger ha riproposto nella storia, circa mille anni dopo, abdicando nel 2013. Eppure Celestino V fu colui che rese il perdono una istituzione, quella che oggi – con le opportune correzioni – si celebra ogni 25 anni: il Giubileo.

Il castello di Fumone dove fu imprigionato Pietro da Morrone

Oggi a Fumone, bellissimo comune in una posizione straordinaria a 800 metri sulla valle del Sacco, l’eremita viene ricordato come san Pietro Celestino e il castello dove fu prigioniero è meta turistica. Ma la sua santità, già proclamata nel 1313, ha fatto fatica ad affermarsi nella storia essendo la sua fama più legata all’ignavia di cui lo accusò Dante mettendolo nel terzo girone dell’Inferno, con coloro che non ebbero il coraggio di schierarsi in vita. Oggi quella di Dante viene considerata più una “svista” dettata dalla severa mentalità medioevale e la figura di Celestino è stata riabilitata tanto da essere considerata la sua scelta come qualcosa di altamente rivoluzionario.

Papa Bonifacio VIII

L’eremita Pietro Angeri (l’appellativo “da Morrone” viene da uno degli eremi in cui visse sulla Maiella, in Abruzzo), quando fu indicato come capo della Chiesa era una figura molto popolare, già noto per aver compiuto moltissimi miracoli e per la sua ricerca interiore che lo spingeva a vivere a stretto contatto con la natura in luoghi impervi e poco accessibili. Secondo le previsioni sarebbe stata la figura chiave per mettere fine alle dispute in atto tra le famiglie patrizie da cui di regola veniva espressa la preferenza. Quella di pontefice all’epoca era una carica più politica che spirituale. Ma Celestino, quasi costretto ad accettare, aveva ambizioni molto più alte della politica, come possono essere solo quelle etiche.

E non cambiò salendo sul soglio pontificio dove ben presto, dopo solo pochi mesi, manifestò il suo disagio per trovarsi in una mondanità che non gli apparteneva. Verificò, dunque, la liceità di una sua eventuale dimissione e la macchina si mise in moto subito. Dopo solo tre mesi e quindici giorni pronunciò la formula di rinuncia al soglio pontificio, si tolse l’anello mentre scendeva dal trono, dismise la tiara e indossò il suo misero saio. Fu eletto subito il suo successore: Benedetto Caetani con il nome di Bonifacio VIII. Fu proprio lui a farlo imprigionare temendo che l’umile eremita potesse rappresentare con le sue idee di povertà e uguaglianza un simbolo di divisione e un’istanza di ribellione all’interno della Chiesa.

Dante Alighieri

Il povero Celestino V fu portato nel Castello di Fumone in ceppi e tenuto prigioniero in un freddo e angusto, buio angolo dell’enorme castello, quasi una intercapedine tra la parte abitata e le mura. La sua prigionia deve essere stata terribile ma durò poco. San Pietro Celestino, come oggi lo chiamano a Fumone, morì dopo pochi mesi il 19 maggio all’età di 86 anni non senza lasciare una traccia importante di sè, il suo messaggio all’ecumene. Si tratta di una festa ancora oggi celebrata a L’Aquila, la festa della “Perdonanza”, il primo giubileo della storia della Chiesa, istituita con una bolla nel 1294 e oggi riconosciuta come patrimonio dell’Unesco per i valori di solidarietà e uguaglianza. In essa si proclamava, più che la necessità del perdono (implicante una gerarchia tra chi chiede e chi concede), quella di pace, solidarietà e riconciliazione.

Una sala del castello di Fumone

Oggi, alla sua 731esima edizione, è giusto ricordare questo umile Papa che istituì l’indulgenza plenaria dai peccati per tutti i credenti che fossero entrati, confessati e pentiti, attraverso la porta della basilica di Collemaggio. L’aspetto economico delle indulgenze sarebbe stato introdotto solo dopo, dai suoi successori ma ebbe più successo. Celestino non avrebbe mai concepito l’assoluzione dietro pagamento. E’ bene ricordarlo oggi che, come ogni 25 anni, il Giubileo si riapre come una macchina per produrre ricchezza e che le assoluzioni dai peccati vengono considerate “acquistabili” da una mentalità che appare più retrograda di quella medioevale.

Celestino V

Pietro da Morrone, sul foro del cui cranio trovato al momento della morte non fu mai fatta chiarezza, non poteva accettare di esser a capo di una Chiesa ricca e assetata di potere in cui non si riconosceva. Non fu l’ignavia a dettargli il famoso rifiuto ma l’insofferenza per la corruzione che ritenne insanabile. Oggi il Castello di Fumone rende giustizia alla sua immagine di uomo giusto e moderno, rivoluzionario per la sua epoca, schieratosi con forza dalla parte della giustizia e dell’uguaglianza, contro ogni guerra, e quindi sinceramente fedele – lui sì – al messaggio di Cristo.

Gloria Zarletti

Nell’immagine di copertina, Pietro da Morrone eletto al soglio pontificio col nome di Celestino V

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