//Calcio, SuperLeague ko. Ma i problemi restano

Calcio, SuperLeague ko. Ma i problemi restano

di | 2021-04-26T09:54:58+02:00 25-4-2021 7:00|Punto e Virgola|0 Commenti

La festa appena cominciata è già finita. La vicenda della SuperLeague che ha mandato in fibrillazione l’intero sistema del calcio mondiale si è sgonfiata, anzi è letteralmente abortita nel giro di 48 ore. Un breve riassunto si rende necessario per spiegare la dinamica dell’accaduto. Domenica scorsa, con uno scoop di notevole portata il Corriere dello Sport annuncia a tutta pagina che 15 club europei sono pronti ad unirsi per giocare una sorta di campionato continentale che di fatto andrebbe a sostituire l’attuale Champions League, attualmente la più prestigiosa competizione internazionale.

Tutti i mezzi di comunicazione rilanciano la notizia e comincia la caccia alle conferme. Di fronte all’incalzare della curiosità, iniziano a venir fuori  i particolari. Si apprende che le società interessate sono 12: 6 inglesi (i due Manchester, Chelsea, Tottenham, Arsenale Liverpool), 3 spagnole (Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid) e 3 italiane (Juventus, Milan e Inter). In posizione d’attesa 2 tedesche (Bayern Monaco e Borussia Dortmund) e il francese Paris Saint Germain. Così si arriva a 15, ma il progetto (pronto per partire già da settembre) prevede 20 squadre: le altre 5 sarebbero arrivate ad invito per poi essere sostituite negli anni seguenti da altre formazioni promosse per merito. Alla fine, due gironi da 10 con partite di andate e ritorno da giocare ogni mercoledì. Un’autentica secessione che manda in tilt le istituzioni calcistiche del pianeta.

Il no dei tifosi inglesi alla SuperLeague

L’Uefa, cioè la federazione europea, la prende malissimo e minaccia squalifiche ed esclusioni già a partire dalla corrente stagione; la Fifa, la federazione mondiale, segue a ruota. Ma sono le prese di posizioni dei politici a far nascere i primi dubbi. Il premier inglese Boris Johnson e il presidente francese Macron scomunicano apertamente l’iniziativa e così i 3 club che non avevano inizialmente aderito decidono di chiamarsi definitivamente fuori. Poco dopo, nonostante le rassicurazioni di Florentino Perez, gran capo del Real Madrid e presidente della neonata SuperLeague, sono i club inglesi ad abbandonare, incalzati dalla proteste crescenti dei tifosi e dalle dichiarazioni al veleno degli stessi protagonisti sul campo (allenatori e giocatori). Martedì nel pomeriggio, la disfatta è compiuta: non ci sono le condizioni per partire. E così il progetto finisce nel cestino della carta straccia. L’Uefa prende atto della fine dei giochi, vorrebbe punire chi ha osato ribellarsi, ma alla fine non viene preso alcun provvedimento: si continua come se nulla fosse accaduto.

In realtà, non è proprio così. Anche la prima reazione di chi scrive (che pure è un grandissimo appassionato di calcio) è stata di rigetto e di profondo fastidio. Una decisione così improvvida ricordava i tempi in cui, magari all’oratorio, chi portava il pallone decideva le squadre e chi giocava: gli altri potevano solo guardare. Ma, a mente fredda e attraverso un’analisi laica, la SuperLeague è morta subito non perché l’idea alla base fosse sciocca e impraticabile ma perché sono stati commessi errori di ogni genere: nei tempi, nei modi, nella comunicazione.

Nell’analisi conviene partire dai numeri che contengono una verità intrinseca. I 12 club secessionisti chiuderanno l’anno calcistico con un passivo complessivo di oltre 5 miliardi di euro; tanto per restare a casa nostra Juventus, Milan e Inter andranno sotto per circa 400 milioni a capoccia. La situazione era già difficile prima, ma la pandemia ha acuito lo stato di crisi. La parte finale della stagione scorsa e quella ancora in corso non hanno portato un centesimo nelle casse societarie per quanto riguarda gli incassi al botteghino ed è anche diminuito l’apporto degli sponsor (i mancati introiti ammontano a centinaia di milioni di euro), per quanto si stia parlando dei più importanti e blasonati club italiani ed europei. Non vanno sottaciuti neppure i tanti errori commessi negli anni precedenti: gestioni poco attente, spese pazze e spesso ingiustificabili, scarsa propensione a puntare sui giovani di casa nostra. L’elenco potrebbe continuare a lungo e, sempre per rimanere in Italia, una qualità media del gioco lontanissima dall’elite del calcio europeo.

Ronaldo e Messi, protagonisti per anni del calcio europeo

Non solo, ma il giornalista Marco Bellinazzo (grande esperto di finanza calcistica) ha ricordato che “la NFL (cioè la lega del football americano) ha 300 miloni di appassionati in tutto il mondo e fa 8/9 miliardi di fatturati e diritti tv, il calcio ha 3 miliardi di tifosi e con la Champions e l’Europa League fattura 3 miliardi. La Uefa non è stata capace di ridurre il gap, da qui l’accusa dei club, ovvero il non aver saputo valorizzare appieno le competizioni”. E JpMorgan era pronta a buttare nel piatto della SuperLeague 6,5 miliardi di euro, dei quali 3,5 subito e a fondo perduto: in pratica ogni club avrebbe incassato almeno 250 milioni. Molto più che ossigeno per chi sta affogando nei debiti.

E il merito? E Davide che sfida e talvolta batte Golia? Immagini romantiche che cozzano con la realtà attuale in cui di fatto, almeno a livello europeo, non c’è spazio per le cenerentole. Il calcio è un’industria che vive sì di passioni e sentimenti, ma soprattutto di bilanci. O sono sani o portano al fallimento. E’ finita l’epoca dei presidenti, definiti da Giulio Onesti (indimenticato signore dello sport) “ricchi scemi”. Gli attuali capi delle società sono certamente ricchi, ma tutt’altro che scemi. E sono arrivati i fondi di investimento, gli sceicchi… E tutti, oltre che la gloria sportiva, vogliono rientrare dai loro ingentissimi investimenti.

Florentino Perez, presidente del Real Madrid e della SuperLeague

A prima vista, sembra che alla fine abbia vinto l’Uefa, ma i problemi sollevati dai club secessionisti restano tutti e vanno affrontati e risolti. In realtà le istituzioni calcistiche europee non possono fare a meno di quelle squadre (pensate ad un campionato italiano senza Milan, Juve e Inter e all’appeal televisivo di un siffatto torneo…), così come quelle squadre non possono lasciare i rispettivi campionati nazionali, pena la rivolta e la disaffezione totale dei tifosi. Sono due forze (o due debolezze) che si reggono a vicenda. E allora? Servono riforme serie: un vero fair play finanziario con sanzioni certe a chi trasgredisce e magari l’introduzione del “salary cap”, cioè un tetto agli ingaggi, determinato in base ai bilanci certificati. Un primo passo è stato fatto con la nuova SuperChampions che però partirà nel 2024: troppo tardi perché alcune squadre, anche molto titolate e ricche di sostenitori in ogni angolo del pianeta, rischiano di chiudere bottega prima.

Buona domenica (e buon calcio) a tutti.

 

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