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Bulgakov e il Maestro: elogio della leggerezza

di | 2022-05-22T06:49:12+02:00 22-5-2022 6:30|Cultura, Sezione 7|0 Commenti

ROMA – Irriverente, sarcastico, onirico, fantasmagorico, allucinante, ovvero “l’esaltazione della leggerezza” perché, alla fine di innumerevoli vicende annodate tra di loro, continui colpi di scena, assurdità e disastri, “Il Maestro e Margherita” del russo (nativo però di Kiev, Michail Bulgakov così, appunto, è. L’opera racconta tra drammi, prodigi, magia nera, incubi e realtà, il disagio di una vita vissuta nell’opprimente perbenismo, nell’apparenza più che nella sostanza, nella censura che nega la libertà e dimostra come l’unico riscatto possibile sia nel capriccio, nella sregolatezza, nell’abbandono di quegli orpelli che possono far ammalare un individuo e renderlo infelice.

Michail Bulgakov

E chi può innescare il disordine necessario a far saltare tutti i parametri della società “imbalsamata” in una Mosca degli anni ’30 appena uscita dalla rivoluzione? Naturalmente il Diavolo in persona – Voland – con la sua corte di personaggi loschi, un po’ ridicoli e un po’ saccenti, tra cui un grosso e fastidioso gatto nero. Voland e i suoi accoliti, creando il caos, restituiscono a chi se lo merita – e tra questi appunto il Maestro con la sua Margherita – quella disarmonia necessaria per entrare in una nuova vita, nel cambiamento. La catarsi, insomma, di cui è simbolo la trasformazione della protagonista – una trentenne oppressa dai sensi di colpa per il suo legame adultero con un poeta che non si è piegato alle regole del successo – in una bellissima strega audace, dispettosa e capace di fare prodigi e fatture.

Nel suo svolazzare sulla città a cavallo di una spazzola, Margherita (che ricorda una Psiche di classica memoria ma con un percorso inverso), va a caccia dei detrattori del suo amato Maestro, li punisce mettendo a nudo la loro pochezza, la loro corruzione, la loro connivenza con tutto ciò che è marcio. Qui non si va dal Male al Bene ma da un bene fittizio ad un Male come conoscenza di sé e del mondo, come l’esperienza necessaria alla formazione dell’individuo. Quello che ne scaturisce è una grande, esilarante rappresentazione teatrale dove si alternano sulla scena i più strani personaggi, su sfondi inaspettati e nelle situazioni meno decorose che mettono a nudo lo squallore delle classi dirigenti ma anche di chi preferisce vivere all’ombra di queste per comodità.

L’opera di Bulgakov, che ha anche un suo aspetto autobiografico perché in questa enorme metafora di come va il mondo c’è anche la sua storia di scrittore senza speranze perché non allineato, è una “summa” del ‘900, quel secolo detto breve perché interrotto da due guerre, con i suoi vizi e la sua confusione in cui l’autore fa vigere nuovi criteri per fare giustizia. In questa “Divina Commedia” moderna non manca, infatti, la pena per i colpevoli che non sono quelli – no! – che si sono opposti all’ordine costituito ma, al contrario, quelli che vi si sono piegati permettendo il nascere di una società così brutta e sbagliata. La soluzione non può essere che l’altra faccia della medaglia. Per questo è il Demonio, venuto a Mosca in missione speciale, a salvare i giusti, non Dio. E’ lui, il misterioso e affascinante Voland che, combinandone di tutti i colori, spazza via la pesante burocrazia moscovita e svela l’ipocrisia dei benpensanti, schiaccia sullo sfondo la maldicenza della gente stupida e incolore che parla a vanvera, ripristina la vita vera, la leggerezza appunto, e la affida ai due innamorati del titolo. Il Maestro-scrittore, addirittura, potrà incontrare e rendere giustizia al protagonista del suo sfortunato romanzo, Ponzio Pilato, riabilitandone la sua immagine che per duemila anni era stata quella di carnefice di Gesù.

Il finale è emozionante e consolatorio dopo tante morti, sparizioni, sciagure, utili però a ricomporre uno squilibrio necessario a chi non accetta di vivere secondo regole che ne opprimono la creatività e la fantasia, ne censurano non solo le parole ma anche i pensieri. L’allegoria della dittatura è chiara. Tanti sono gli aggettivi per cercare di “inquadrare” quest’opera, dalla sua pubblicazione integrale (solo nel 1973, prima era stata più volte censurata), divenuta un “cult” per ogni lettore che si rispetti ma anche un mistero rispetto alla sua trama intricata e intrigante che ne fa uno dei capolavori se non proprio “il” capolavoro del ‘900. Composta su più piani narrativi (realtà e immaginazione), con più modelli (romanzo storico, di formazione, enciclopedico, psicologico), con toni che passano dalla satira bonaria al risentimento feroce per una società in cui l’autore nella sua realtà vive una condizione di disagio intellettuale, l’opera racconta la più bella ma strana, terribile storia di come va il mondo dove per avere successo è necessario essere meschini e usare la piaggeria a garanzia del privilegio immediato, il conformismo per il quieto vivere.

E Bulgakov ne ha, a questo riguardo, per tutte le classi sociali. In quel mondo, di cui lo scrittore ha un giudizio pessimo, non c’è la speranza di una giustizia cristiana. L’unica salvezza, come emerge dalle pagine di questo straordinario romanzo, è affidata non a caso alla fantasia e al disordine, requisiti indispensabili per uno scrittore vero – e non di regime – come lui stesso è stato dando questa sublime prova di leggerezza.

Gloria Zarletti

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