TARANTO – Nella scorsa settimana cento esemplari di cavallucci marini, provenienti dall’acquario di Genova, sono stati reintrodotti nel Mar Piccolo di Taranto; operazione simile si era già svolta nel maggio del 2024. Il “lieto evento” – è proprio il caso di dire – si inserisce in una serie di progetti di conservazione e tutela dell’ambiente che vedono la collaborazione dell’Acquario di Genova, del Comune di Taranto, del CNR/IAS di Palermo, dell’azienda danese Rockwool, della fondazione ambientalista One Ocean Foundation e dell’Università di Bari.

Il Mar Piccolo a Taranto
Il Mar Piccolo, per la sua specificità territoriale, rappresenta un habitat ideale per la biodiversità, si tratta di una laguna costiera a lento ricambio idrico, sia per la natura della sua conformazione (comunica con il Mar Grande – mare aperto – attraverso due canali molto stretti: il Canale di Porta Napoli ed il Canale navigabile artificiale), sia per l’apporto di acque dolci superficiali ed ipogee ricche di sali. La temperatura delle acque è regolata, inoltre, dai “citri”, sorgenti d’acqua dolce fredda che direttamente sboccano nel Mar Piccolo, abbassandone anche la salinità.

I “citri”, sorgenti d’acqua dolce fredda, di Mar Piccolo
I nuovi “arrivati” sono stati reintrodotti in una delle tre macro-riserve all’interno del Parco Regionale del Mar Piccolo, dove è stato installato un ‘seahorses hotel‘, struttura atta a fornire appigli e rifugio agli animali. Fino a pochi anni fa quest’area ospitava una delle più grandi colonie di cavallucci marini del Mediterraneo, ma dal 2016 è stata registrata una forte diminuzione della loro densità: il numero si è ridotto di quasi il 90% per diversi fattori. Principali cause restano il riscaldamento globale ed il degrado ambientale, a cui vanno aggiunti, a livello locale, le catture accidentali causate dalla pesca artigianale ed intensiva, la frammentazione e devastazione dei fondali spesso inquinati dallo sversamento di rifiuti tossici, il prelievo di acqua per il raffreddamento degli impianti da parte delle vicine acciaierie ex Ilva, le pregresse cementificazioni per la costruzione dell’Arsenale Militare e degli ex cantieri navali Tosi.
A tale funesto elenco va aggiunto un fiorente mercato clandestino legato a credenze pseudo scientifiche sul docile animaletto, i cui presunti poteri taumaturgici e benefici fanno sì che, una volta essiccato, finisca per essere appeso all’ingresso delle case o utilizzato come monile portafortuna di colli “superstiziosi” o che venga tritato e usato come componente di pozioni per qualche non ben identificato male. L’interesse nei suoi confronti, del resto, ha radici antiche ed è trasversale a popoli diversi, tanto che la sua immagine è presente, raffigurata con funzione apotropaica, in molti siti archeologici. Particolare è il suo aspetto, in parte pesce ed in parte cavallo che rimanda all’etimo del termine ippocampo: ἵππος (ippos/cavallo) e κάμπη (kàmpe/bruco, animale ricurvo). Nella mitologia greca è rappresentato nel corteo di Poseidone, insieme a tritoni, draghi e giganteschi mostri acquatici.

I resti del mosaico pavimentale a Canosa di Puglia
Tante le testimonianze archeologiche in terra di Puglia, due fra tutte: i resti di un mosaico pavimentale che a Canosa ornava un impianto termale romano di età imperiale e di cui ci sono giunti “…segmenti di tessere nere, disposte su sette file, …onde del mare su cui si dispone un ippocampo…” ed uno statere conservato nel Museo di Taranto. Si tratta di una moneta in argento del peso di sette/otto grammi e del diametro di 25 mm, coniata intorno al 500 avanti Cristo, che su una faccia reca incisa l’immagine di Taras, il mitico fondatore della città dei due mari, in groppa a un delfino e sul retro la raffigurazione di un ippocampo.

Lo statere conservato nel Museo di Taranto
Diverso dagli altri pesci anche per stile di vita, l’ippocampo nuota “in verticale”, mantenendo una posizione eretta con cui si sposta elegantemente; è dotato di due occhi che, ruotando indipendentemente uno dall’altro, gli consentono una visione a 360°, si potrebbe commentare, con un po’ di forzata ironia, che sia un pesce di ampie vedute dal momento che a dare alla luce i figli è il… papà! Nei nostri mari (ormai soltanto Ligure e Ionio) la riproduzione avviene in primavera: dopo un lungo corteggiamento, la femmina depone le uova in una sacca di incubazione posta sulla pancia del maschio, che poi accudirà le uova fecondate per uno o due mesi sino al parto.
Di natura solitaria e quasi schiva, il cavalluccio marino si distingue per la sua monogamia, restando fedele alla sua compagna per sempre o quasi. Nonostante questa patina di romanticismo, la specie è a rischio elevato di estinzione e, mentre continuano ad essere disattesi quasi del tutto gli ammonimenti che arrivano dal mondo scientifico, colpisce e resta nel cuore una frase pronunciata con amarezza da un pescatore durante un’intervista sulla decrescente pescosità dello Ionio: “Manghe u cavadd’ d’ mare se vede cchiù!” (Ormai non si vede più neanche il cavalluccio marino!). Che tristezza infinita!
Adele Reale
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