MILANO – Dal denim arcobaleno alle modelle digitali: Benetton torna a far parlare di sé con una campagna che non lascia spazio all’indifferenza. Per la collezione autunno-inverno 2025, il brand italiano ha scelto di abbandonare i volti umani e affidarsi completamente all’immaginazione — e al codice — dell’intelligenza artificiale. Nessun corpo reale, nessuna fotocamera tradizionale: la nuova campagna è stata realizzata interamente con modelli generati da AI, frutto di una collaborazione con Rick Dick, tra i più noti artisti digitali nell’ambito dell’arte computazionale. Una mossa audace, ma non casuale. 
Rick Dick, conosciuto per il suo approccio provocatorio e per la capacità di mescolare estetica fashion e surrealismo sintetico, ha lavorato con il team creativo di Benetton per reinterpretare i codici visivi della moda. Il risultato è una galleria di immagini iperrealiste, quasi disturbanti, in cui modelle e modelli perfetti — perché artificiali — indossano capi coloratissimi, oversize, con texture che sembrano vive. Il messaggio, se c’è, non è esplicito. Ma la domanda è chiara: quanto è reale la moda oggi? Dietro l’apparenza ultra-glamour, infatti, si cela una riflessione più profonda. Il volto di questa nuova campagna non esiste. Non ha età, né genere, né nazionalità. È una creatura generata da prompt testuali e software di sintesi neurale. Eppure, sorride, posa, racconta un’emozione. Siamo di fronte a un’estetica nuova, che sfida il concetto stesso di identità visiva nel fashion system.
La scelta di Benetton non è isolata, ma segna un punto di svolta: il passaggio dalla rappresentazione del reale alla simulazione dell’ideale. In un momento storico in cui l’intelligenza artificiale permea sempre più settori — dalla musica al giornalismo, dal cinema al design — anche la moda sperimenta forme inedite di racconto. Le reazioni non si sono fatte attendere. Se da un lato molti esponenti del settore parlano di “svolta coraggiosa”, “nuovo linguaggio visivo”, e “futuro inevitabile”, dall’altro c’è chi legge nella scelta un rischio di disumanizzazione e appiattimento emotivo. Alcuni modelli reali hanno espresso preoccupazione per il proprio futuro lavorativo, mentre i creativi si interrogano: l’autorialità resiste anche quando l’opera è firmata da un algoritmo? In effetti, il lavoro di Rick Dick solleva interrogativi più ampi sull’autenticità. 
Può una campagna generata da un’intelligenza artificiale — priva di errori, emozioni, imperfezioni — suscitare lo stesso coinvolgimento di uno scatto rubato nel backstage? Dove finisce la creatività umana e dove comincia la logica predittiva delle macchine? C’è anche un tema commerciale. Utilizzare modelli virtuali consente di abbattere costi, accelerare la produzione e controllare ogni dettaglio dell’immagine finale. Ma questa efficienza non rischia di sacrificare la spontaneità? E soprattutto: il pubblico accetterà di identificarsi in figure che, di fatto, non esistono? In un’epoca dominata dall’iperrealtà dei social, in cui anche i volti umani sono filtrati e levigati fino a diventare maschere digitali, forse la mossa di Benetton non è poi così distante dalla realtà. Anzi, potrebbe esserne la naturale evoluzione. La moda, del resto, ha sempre parlato il linguaggio del tempo. E oggi quel linguaggio passa anche — e sempre più — attraverso il linguaggio macchina. Resta da capire se dietro questi avatar così perfetti ci sarà ancora spazio per l’imperfezione umana, quella scintilla fragile e irrinunciabile che ha sempre alimentato l’arte, la creatività e lo stile.
Alice Tuzi

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