VITERBO – Se hai passato più di cinque minuti su Instagram nell’ultimo anno, è probabile che tu ti sia imbattuto almeno una volta in una frase tipo: “Non è colpa tua, è il tuo stile di attaccamento”. Benvenuto nell’era della psicologia pop, dove concetti come attachment style, trigger, gaslighting e inner child sono diventati virali quanto i balletti di TikTok. Ma cosa significa davvero tutto questo parlare di stili di attaccamento? E perché improvvisamente sembra che tutti — influencer, creator, aspiranti coach, ex fidanzati — stiano analizzando il proprio (e altrui) comportamento attraverso lenti psico-relazionali?
Un po’ di teoria, in pillole Il concetto di attachment style (stile di attaccamento) nasce dalla teoria dell’attaccamento di John Bowlby, psicologo britannico degli anni ’60. In breve, descrive il modo in cui, da adulti, viviamo le relazioni in base ai legami che abbiamo sviluppato da bambini con le nostre figure di riferimento. Gli stili principali sono:
Sicuro: ti fidi, comunichi bene, sei stabile. Beato te.
Ansioso: cerchi rassicurazioni continue, temi l’abbandono.
Evitante: hai paura della vicinanza, ti distacchi per proteggerti.
Disorganizzato: una miscela complicata dei precedenti. Una specie di montagna russa emotiva.
Semplificando molto, questi modelli influenzano come scegliamo le persone, come reagiamo ai conflitti, quanto ci fidiamo e quanto siamo disposti a lasciarci andare.
Perché Instagram ne va pazzo? Perché, diciamocelo, è facile da riconoscere e da condividere. I reel da 30 secondi con frasi tipo “Se lui sparisce per tre giorni, ma poi torna con un messaggio vago… è attachment avoidant!” sono una droga. Ti ci ritrovi. Ti fanno ridere. Ti fanno riflettere. O ti fanno sentire meno solo. In più, gli stili di attaccamento sono come gli oroscopi del 2020: nessuno li prende proprio alla lettera, ma tutti ci vedono dentro qualcosa di sé. E funzionano benissimo nei contenuti brevi, graficamente accattivanti, con titoli tipo: 👉 “Come sapere se sei ansioso o evitante in amore” 👉 “5 segnali che hai uno stile di attaccamento disorganizzato” E nel mondo della psicologia “instagrammabile”, più un concetto è riconoscibile, più è condivisibile. Più è condivisibile, più diventa virale.
Il lato utile (e quello rischioso) Da un lato, questa tendenza ha democratizzato la psicologia. Ha avvicinato tante persone al mondo della salute mentale, spesso rompendo tabù, normalizzando il bisogno di terapia, e dando voce a esperienze che prima erano sottovalutate. Dall’altro, il rischio è la semplificazione estrema. Ridurre relazioni complesse a un’etichetta può diventare un’arma a doppio taglio. Non tutte le situazioni possono essere spiegate da uno stile di attaccamento. E soprattutto, non tutte vanno analizzate sotto una lente patologizzante. A volte non è trauma, è solo incompatibilità.
Quindi? Tutti dallo psicologo? Non necessariamente. Ma sapere cosa sono questi famosi stili, e come si formano, può essere utile per conoscersi meglio, comunicare in modo più sano e – perché no – anche migliorare le proprie relazioni. E magari la prossima volta che scorri un reel con sottofondo malinconico e sottotitoli tipo “Quando hai uno stile ansioso ma ti innamori di un evitante”, potrai sorridere con un pizzico di consapevolezza in più.
Alessia Latini
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