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Quella disperazione che diventa tragedia

di | 2022-01-02T10:32:06+01:00 2-1-2022 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

PERUGIA – “Non potevo più vederla in quelle condizioni: non aveva più la sua dignità”. Con questo concetto – le parole esatte, ancora sotto segreto istruttorio, sono state verbalizzate negli atti dell’interrogatorio del pubblico ministero Barbara Mazzullo – un medico di Amelia, il dottor Roberto Pacifici, 80 anni ha confessato e giustificato l’omicidio della moglie, Emanuela Rompietti, anche lei della stessa età del coniuge, affetta da Alzheimer, delitto consumato in una villa sita in strada Sant’Angelo nel comune di Amelia, una delle più antiche città umbre. Due colpi di pistola esplosi, in pieno petto, contro la moglie, alla mezzanotte di Natale.

La casa dove si è consumata la tragedia di Amelia

Una coincidenza doppiamente agghiacciante: stroncare una vita umana e farlo in un momento denso di significati non solo religiosi (la nascita del bambino Gesù), ma pure di rilevanza civile (le festività in genere, le famiglie riunite). Pacifici – finito ristretto nel carcere di Sabbione di Terni per poi ottenere, nella fase della convalida dal gip Simona Tordoni, il beneficio dei domiciliari in una residenza per anziani della cittadina – si è appellato alla “disperazione”, causata dalle condizioni mentali, particolarmente angoscianti, della consorte, che lo avrebbe spinto ad uccidere la donna della sua vita in quell’ora fatale, mentre in un’altra stanza, ignari, si trovavano uno dei due figli, la compagna di quest’ultimo e la badante, assunta per seguire la signora (una brillante maestra, che l’intera comunità apprezzava), la cui mente era stata annientata, devastata dalla gravissima patologia. Filtra pure il particolare che il medico abbia provato a rivolgere l’arma, subito dopo il delitto, contro se stesso, ma sia stato fermato, tempestivamente, dal figlio.

La tragedia di Casalbordino

Poche ore dopo a Casalbordino, in provincia di Chieti, un pensionato, operaio metalmeccanico, Angelo Bernardone, di 74 anni, ha scaraventato giù da un cavalcavia lungo la strada provinciale 216, la consorte Maria Rita Cortese, di 72 anni, colpita pure lei, da qualche tempo, dall’Alzheimer. I due, nel primo pomeriggio del giorno di Santo Stefano, si stavano dirigendo in auto verso il cimitero per una visita alle tombe dei genitori di lei. Una improvvisa discussione sarebbe sorta in auto ed avrebbe scatenato la violenta reazione dell’anziano. “Non ce la facevo più”, ha mormorato ai carabinieri di Ortona e, poi, al pubblico ministero Michele Pecoraro. Nel cuore dell’uomo nessuno è in grado di penetrare. Offrire giudizi sulla giustezza del gesto o sull’orrore che suscita, dipende dal modo di sentire, dalla cultura e dalla sensibilità di ciascuno. Certo, azioni di questa agghiacciante portata spingono comunque a riflettere sul significato da dare all’esistenza, alla vita dell’altro.

Chi può ergersi a giudice di chi è degno di vivere o no? Hitler, solo per indicare una figura storica del Male Assoluto, aveva decretato e fatto eseguire l’annientamento organizzato e sistematico di persone non corrispondenti alla sua visione del mondo (con la motivazione della difesa della razza ariana) a cominciare dai malati, fisici e mentali e dai deboli, in generale. Prima di lui il crudele Erode, avrebbe ordinato la “strage degli innocenti” per evitare che tra i bambini del regno potesse crescere colui che avrebbe potuto rappresentare un pericolo per il “suo” potere, per il “suo” trono. La coscienza stessa sollecita a respingere con ribrezzo la priorità della ragione di stato o di motivazioni razziali oppure dell’ambizione e dell’interesse personale, di fronte a massacri del genere. Tra gli aspetti da valutare e da risolvere – governo e parlamento i primi a doversene assumere l’onere – anche il sostegno, morale ed economico, alle famiglie che si trovano a dover far fronte – spesso il pesante compito tocca al coniuge – alla cura ed alla vigilanza di una persona colpita da una patologia così devastante da causare, molto di frequente, problemi psicologici e di depressione anche a chi si accolla il peso di una assistenza che richiede una presenza assorbente, continua, senza soste.

Gli stessi ammalati di patologie così distruttive per il corpo e per la mente sollecitano, a ragione e da tempo, una legge che garantisca a ciascuno di poter scegliere, in piena lucidità e convinzione, una “morte dolce” invece di dover affrontare il dolore continuo, il decadimento progressivo, fino a precipitare nell’abbrutimento totale o nella vita puramente vegetativa. E su questa richiesta – il tema del “fine vita” – il parlamento dovrà, prima possibile, dare il proprio responso e varare una legge. Nei tragici angoscianti episodi di Amelia e di Casalbordino, la decisione della “soppressione” è stata assunta ed eseguita, tuttavia, non dal diretto interessato, ma da un soggetto esterno, terzo, anche se legato dal vincolo matrimoniale. Ecco l’aspetto che sgomenta. Che lascia aperte discussioni e risposte affidate, nello specifico giuridico, alla magistratura che saprà, nei vari gradi di giudizio, discernere il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso, il lecito dall’illecito. In una dichiarazione rilasciata a “La Stampa”, Marco Cappato, esponente dell’associazione “Luca Coscioni”, ha commentato: “Non appare chiaro se vi sia stato una sorta di consenso da parte delle vittime, elemento questo che sarebbe collegabile al tema del ‘fine vita’. In assenza di qualsiasi forma di consenso, si tratterebbe di omicidio. Sotto forme disperate e con motivazioni pietose”.

La morte di Maria Rita Cortese a Casalbordino

Le statistiche di quest’ultimo anno mettono in evidenza come siano state uccise ben 116 donne, 100 delle quali (comprese Emanuela e Maria Rita) in ambito familiare. Nel cuore dell’opinione pubblica resterà la cicatrice di due uccisioni terrificanti che stridono, profondamente, con l’immagine del mito greco dell’amore coniugale, portato avanti e vissuto sino alla tarda età. I maturi Filemone e Bauci, marito e moglie della lontana Frigia, ebbero in sorte – per aver aiutato, ospitato e fatto sedere alla loro parca mensa, due viandanti stanchi, laceri ed affamati (Zeus ed Ermes, secondo la vulgata) che avevano bussato invano alle porte delle altre case del paese (e per questo furono tutte distrutte con i loro abitanti) – di vivere a lungo e di morire insieme, nello stesso attimo.

In serenità. Mano nella mano.

Elio Clero Bertoldi

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