/, Sezione 3/La scoperta del guado, il vero ‘blu oltremare’

La scoperta del guado, il vero ‘blu oltremare’

di | 2025-06-15T01:31:08+02:00 15-6-2025 0:10|Cultura, Sezione 3|0 Commenti

RIETI – Prima ancora che l’economia politica definisse il principio edonistico del “massimo rendimento con il minimo sforzo”, la saggezza popolare si era portata avanti con la definizione di ‘cuccagna’, termine legato non solo al cibo, o all’albero della cuccagna, gioco popolare del ciclo festivo del mondo contadino, ma anche al ‘paese della cuccagna’ un’utopia, un luogo dell’abbondanza, della felicità, senza bisogno di faticare.

Ma esiste il paese della cuccagna e dove si trova? Il paese della cuccagna era quello in cui si produceva e si commerciava il guado, a cui veniva associato il benessere. Il termine deriva direttamente dalle ‘coccagne’ cioè i pani di pasta di guado ottenuti al termine del ciclo di trasformazione delle foglie da cui si ricavava il pigmento usato per tingere lane, tessuti, per dipingere e che si vendeva nei mercati. Nel campo artistico il guado era una soluzione economica per ottenere il ‘blu oltremare’, che si otteneva dalla macinazione dei lapislazzuli nelle cave di Badakhschan in Afghanistan, ma era costosissimo e i pittori non sono mai stati benestanti, almeno in vita.

Il nome botanico è Isatis Tinctoria, pianta a ciclo biennale della famiglia delle Brassicacee o Cruciferae ed è presente in diverse aree europee, dove cresce anche spontaneamente. Nel primo anno vegetativo si presenta con foglie abbondanti, nel secondo produce una ricca fioritura gialla che dura da maggio a luglio. Il pigmento blu si trova solo nelle foglie del primo anno di vita. Il primo taglio non danneggia la pianta, che produce altre foglie, via via meno coloranti. Per avere la colorazione desiderata bisogna usare molte foglie, messe a macerare e fermentare in acqua calda, prima di iniziare un procedimento chimico.

I paesi della cuccagna più importanti furono la Turingia in Germania, Tolosa, Carcassonne, Albi in Francia. In Italia primeggiava Rieti, con la sua Piana, habitat ideale. Qui la produzione e commercio del guado si sono svolti dal basso Medioevo fino al XIX secolo, un periodo molto duraturo. Tra il XVI e il XIX secolo si ha notizia dell’uso anche in campo medico, per le proprietà cicatrizzanti. In un piccolo fondo nella Riserva dei laghi Lungo e Ripasottile è stata ripresa la coltivazione e lavorazione del guado con Roberto Lorenzetti che della Riserva fu commissario nel 2005. Nel 2008, insieme ad Alberto Lelli, che aveva elaborato un metodo semplificato del ciclo di estrazione e tintura, sono iniziati i laboratori di tintura per estrarre il colore, pensando a una spinta per il recupero artigianale e percorsi didattici.

A un anno dalla sua prematura scomparsa è dedicato a lui il libro di Lorenzetti “Nella valle della cuccagna – Il guado. L’oro blu dell’Agro Reatino” (ed. Il Formichiere), presentato l’8 giugno, con una mostra fotografica e un laboratorio di tintura, nella sede della Riserva vicino a Poggio Bustone, in una giornata tutta dedicata ad Alberto Lelli. La coltivazione a Rieti iniziò tardivamente, perché fino al basso Medioevo l’uso del blu era scarso. Nel libro Lorenzetti spiega anche l’uso sociale dei colori che corrisponde a una precisa costruzione culturale, che nel corso del tempo si è modificata.

Nel mondo classico greco e romano, il blu era considerato un colore negativo, associato al mondo barbarico: i Celti si tingevano il corpo prima delle battaglie, evocando un essere spettrale. I codici sociali del tempo si esprimevano attraverso il nero, il bianco e il rosso per esaltare positivamente le immagini. Lo sdoganamento del blu in Italia va dal XII al XIV secolo, per fiorire nel periodo Rinascimentale: la volta celeste, il manto della Madonna, simbolo di giustizia, fedeltà, spiritualità. E così nasce l’economia del guado, fino all’arrivo dell’indaco dalle Indie, più intenso e più economico. Il governo pontificio tentò di frenare l’avanzata dell’indaco per salvaguardare l’economia reatina, che faceva parte dello Stato Pontificio.

Roberto Lorenzetti

Nel Codice Atlantico del 1503, Leonardo Da Vinci scriveva la ricetta “Togli fiori di guado e amido per val parte e Impassta imsieme chon orina e aceto e fanne un migliaccio e ssechalo al sole. E sse pendessi im bianco, rimetti più fiori di guado, rimpasstando in modo sia isschuro a ttuo modo di cholore”. Altro grande utilizzatore del guado fu Piero della Francesca, poi Raffello, Botticelli. Ricerche sul guado furono fatte da Giacomo Caprioli nato nel 1885 a Capradosso (Petrella Salto, Rieti), intellettuale, scrittore, che fu anche disegnatore e ’fotografo con la matita’ dei luoghi. I mulini lungo il Velino, il Cantaro erano simili ai mulini per olio o grano, ma la macina rotante aveva scanalature diagonali per macinare le foglie, gli opifici poi estraevano il colore.

Nel libro, di facile e piacevole lettura, corredato da disegni e foto storiche, Lorenzetti riporta i procedimenti utilizzati nella valle reatina, la storia di questa pianta e dell’economia del territorio, un tempo a vocazione non solo agricola, ma anche artigianale. “Alberto Lelli ci ha purtroppo lasciati – scrive Lorenzetti – ma la sua esperienza continua a vivere nei laboratori di tintura che la Riserva è tornata ad organizzare, coinvolgendo studenti e cittadini, per divulgare il guado e il suo meraviglioso colore azzurro”.

Partecipare ai laboratori della Riserva è veramente una piacevole scoperta e una esperienza formativa, soprattutto per i bambini, mentre intorno volano uccelli acquatici che qui trovano rifugio e riposo nelle migrazioni.

Francesca Sammarco

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi