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Alla ricerca di “Atti umani” in un mondo al contrario

di | 2025-06-13T18:49:53+02:00 15-6-2025 0:25|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

MILANO – Risulta sempre più faticoso “leggere” la realtà odierna e dover constatare amaramente come tutto venga accettato o semplicemente ignorato con una sorta di ignavia collettiva. In tale siffatto “mondo al contrario” sembra attenuarsi o scomparire del tutto qualsiasi senso del limite e dell’eticamente condivisibile. Difficile delimitare ormai il campo dell’umanamente accettabile. Qual è un atto umano? Forse lo sono la guerra, la tortura, la violenza, la distruzione del pianeta, il massacro di civili inermi?  Eppure è questo l’agire più diffuso nel contesto attuale, agli antipodi di qualsiasi ragionevolezza. Da sempre il topos del mundus inversus (mondo al contrario) è stato presente nella cultura e nelle tradizioni di tanti popoli, tuttavia esso prefigurava una serie di aspettative o speranze, giuste o sbagliate che fossero.

La scrittrice sudecoreana Han Kang, premio Nobel nel 2024

Così il messaggio biblico del Nuovo Testamento “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi” (Matteo, 20,16) o ancora “Dio ha tolto i potenti dal loro trono e innalzato gli umili” (Luca, 1,52), confidava in un rovesciamento, anche se in una realtà-altra, volto a ristabilire la giustizia o, quanto meno, a porre rimedio ai torti subiti. Di tale auspicata rivoluzione sociale si coglie l’impronta in diverse opere d’arte dell’Europa moderna, talvolta solo nell’aspetto fisico come nelle immagini nei pesci volanti, negli uomini a testa in giù o nei cavalieri rivolti verso la coda del proprio cavallo. In altri casi si rileva sottinteso, invece, un vero e proprio ribaltamento di classi e ruoli: dagli animali che catturano il cacciatore al servo che dà ordini al proprio padrone.

A causa della pericolosità latente di questi messaggi, tali comportamenti -ritenuti anomali e sovversivi – furono codificati in feste goliardiche. Il Carnevale ne è l’esempio più evidente, accanto alle cosiddette Feste dei Folli, che rimandano ai Saturnali romani, il cui spirito era racchiuso nella formula “Semel in anno licet insanire” a sottolineare la liceità episodica e regolamentata del sovvertire schemi sociali e politici. Solo in quei giorni di festa si poteva, appunto, “insanire”, divenire insano, uscire di senno, agire con disumana violenza.

Che cosa fa, dunque, oggi parte della sfera dell’umano e che cosa della “follia collettiva” che sembra aver cancellato ogni barlume di civiltà? È l’interrogativo che si pone la scrittrice sud-coreana Han Kang, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 2024 “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”. Nell’opera “Atti umani” le vicende si snodano attraverso la storia più recente della Corea del Sud, quella delle dittature militari e, in specifico, del massacro di Gwangju (città natale della Kang) del 1980. L’incipit descrive una palestra comunale, in cui sono ammucchiati centinaia di cadaveri, soprattutto studenti che avevano protestato pacificamente in corteo e contro cui i militari avevano aperto il fuoco. Il lettore percepisce perfino l’orribile “tanfo putrido” che satura l’aria, accanto alla sofferenza per le brutali rappresaglie inferte ai prigionieri, al dolore impresso sul volto e nelle lacrime dei parenti, alle urla delle madri che cercano in quei corpi martoriati, gettati in terra come stracci, i propri figli.

Atti umani” è un romanzo corale in cui parlano i vivi e i morti, le anime vaganti (“volano come uccelli”) ed i corpi in putrefazione (“montagne di membra contorte nelle fosse comuni”) quasi a voler ricostruire da varie prospettive tutti i momenti di quella carneficina di innocenti. Emergono così luci ed ombre di ogni essere umano, torturatore o torturato che sia, insieme ai meccanismi sociali sempre più disumani di una contemporaneità spesso assopita. Ogni capitolo ruota attorno ad una storia diversa con l’unico denominatore della violenza spietata, cui fa da contrappeso soltanto il lirismo di una prosa incisiva, che non è mai enfasi del dolore, ma sua essenza indicibile.

La tecnica narrativa, anche questa differente per ogni sezione del libro, media direttamente le emozioni, i pensieri, le sensazioni, le paure, l’angoscia e le lacrime dei protagonisti. Rimane allora solo un unico immane dolore, che accomuna tutte le vittime del passato e del presente, forse perché, come scriveva Umberto Saba, “il dolore è eterno, // ha una voce e non varia” o perché come afferma in “Atti umani” uno dei sopravvissuti: “L’esperienza della crudeltà è l’unica cosa che ci accomuna come specie “e la stessa Kang, in riferimento al massacro di Gwangju: “Ero molto giovane e avvertii che gli umani erano creature spaventose ed io ero una di loro” (I was very young and I just felt humans are scary and I’m one of them, The Guardian, 2016).

Adele Reale

 

Nell’immagine di copertina, il Monumento dedicato alle vittime del massacro di Gwangju (18 maggio 1980)

 

 

 

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