/, Sezione 6/Alda Merini, poetessa della follia? No, soltanto della vita

Alda Merini, poetessa della follia? No, soltanto della vita

di | 2021-11-05T17:41:07+01:00 7-11-2021 6:25|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

MILANO – Un dipinto delicato. E’ quanto farebbe un’artista di strada per dedicare ad Alda Merini una parte di sé. Alda Merini lascia questa terra il 1° novembre 2009 e la sua notizia giunge come acqua che cade sul viso. Acqua che rinfresca, acqua che desta dal sonno come hanno sempre scosso i suoi scritti e le sue parole. Donna e madre, artista esuberante, eclettica, amante e amata. Alda Merini, poetessa dei Navigli, dona al mondo il suo pensiero, la sua poesia. Vita intensa e tribolata, riservata, schiva negli anni.

Alda Merini viene rinchiusa, contro la sua volontà, nel 1961 nell’Ospedale Psichiatrico “Paolo Pini” di Milano. Nel 1962 inizia un difficile periodo di silenzio e di isolamento che dura fino al 1972, con alcuni sporadici ritorni a casa, tra la sua famiglia. La scrittura, unica ancora e sfogo al dolore, prima che sui fogli, Alda la impresse sulla parete della sua camera da letto, tappezzata di frasi, aforismi e riflessioni. Scritte con il rossetto in ogni angolo, sugli specchi, vicino al letto: quando il suo genio si manifestava, ogni luogo era adatto per dargli visibilità. La vita della poetessa dei Navigli non è stata facile in manicomio. Come disse spesso, lei non si riteneva pazza e ne era consapevole: si ribellava dunque ai medici e alle cure a cui la sottoponevano. Maltrattata e poi liberata.

Tanti i suoi scritti, i suoi disegni sul muro della sua casa. Tante le biografie che raccontano di lei, tra le altre quella della figlia Emanuela Carniti che racconta sua madre e il suo passato in “Alda Merini, mai Madre”. Lei nata il “ventuno a primavera” come scrive nei suoi versi dipinge la vita con verità, senza edulcorare nulla. E arriva Alda nella sua semplicità, nella sua bellezza. Il senso della sua poesia le era sconosciuto, ci si abbandonava con naturalezza. “È una forza che nasce in me, come una gravidanza che deve essere portata a termine. Molti mi considerano la poetessa della pazzia. Ma chi si è accorto che sono la poetessa della vita? Ho parlato del manicomio perché era il luogo in cui vivevo in quel periodo”.

Lo psichiatra che l’aveva seguita durante gli anni del manicomio ha sempre creduto che la creatività della scrittura fosse stata per lei la sola ed unica medicina contro il suo dolore. Alda ha creduto fermamente che la malattia mentale non esistesse davvero. Esistono gli esaurimenti nervosi, esistono le pene familiari, le responsabilità dei figli, la fatica di crescerli ed esiste anche la fatica di amare, la fatica di vivere, di voler davvero vivere giorno dopo giorno. Alda Merini si spegne il 1° novembre del 2009 all’Ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore. Questa donna poeta, affascinante nel suo dolore, fuori dagli schemi. I suoi scritti parlano di passione, di dolore, tanto dolore racchiuso in occhi belli, che vogliono vivere. Alla fine anche lei ha avuto i suoi meritati applausi, grazie alla sua più acerrima nemica: la follia.

“Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano”. Il manicomio è fuori da quelle mura, quello della società che cambia e che ci impone degli schemi ogni giorno, tutti i giorni, per lei, è stato più duro, forte, sinistro di quello che vivi fra quelle mura, che ti infondono la speranza di un futuro diverso in cui puoi consolarti. La sua vita è piena di oscillazione, di maree, di alti e bassi, periodi di salute e periodi di malattia che portavano a sporadici ritorni tra le mura di quell’ospedale.

Nel 1979 Alda ritorna definitivamente a casa. Ricomincia a scrivere, racconta la sua esperienza, gli orrori e le torture dell’internamento nell’ospedale psichiatrico. Negli ultimi anni di vita, Alda ritorna nella sua amata Milano, con lo scopo di gridare al mondo ciò che davvero accade nei manicomi: le umiliazioni, le offese, i soprusi ed i 46 elettroshock che le sono stati inflitti, che non sono riusciti a spegnarla, a spegnere la sua memoria e la sua testa. “La follia è una delle cose più sacre che esistono sulla terra. E’ un percorso di dolore purificatore, una sofferenza come quintessenza della logica. La follia deve esistere per se stessa, perché i folli vogliono che esista. Noi la chiamiamo follia, altri la definiscono malattia”, scrive nel suo libro “La pazza della porta accanto”.

Follia che fa rima solo con poesia.

 Claudia Gaetani

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi