//TESTIMONIANZE PER MEDITARE

TESTIMONIANZE PER MEDITARE

di | 2025-02-03T09:29:24+01:00 3-2-2025 9:29|Alboscuole|0 Commenti
Sabato 1° febbraio abbiamo avuto un’ospite speciale in classe, che ci ha portato la testimonianza  della prigionia di guerra di suo nonno paterno, internato dall’anno 1942 all’anno 1944. Parole, immagini e documenti ci hanno profondamente colpiti. La signora Angela De Tommaso ci ha raccontato la storia di suo nonno: un uomo che, pur avendo vissuto “l’inferno”, nei campi di concentramento, non ne ha mai fatto parola nemmeno ai suoi familiari. Molto spesso il dolore si tramuta in silenzio, per non soffrire e non far soffrire coloro che ci vogliono bene. È stato solo dopo la sua scomparsa che la signora Angela e suo padre hanno trovato tra i suoi vecchi documenti la prova di una realtà che nessuno si sarebbe mai immaginato: suo nonno aveva vissuto l’orrore dei campi di concentramento. La signora Angela si commuove quando ci descrive il nonno: uomo colto che sapeva leggere  e  scrivere, in un’ epoca in cui dilagava l’analfabetismo. La vita di prigionia lo costrinse a lavorare duramente, ma il suo sapere, le sue semplici conoscenze, lo sottrassero alle torture peggiori. Nei campi nazisti  si riusciva a sopravvivere solo se si era utili al potere: servivano braccia da lavoro, ma anche medici, infermieri, musicisti, maestri, fisici, scrittori, ecc. Proprio perché sapeva scrivere e leggere, il Sig. De Tommaso fu inviato in infermeria e lì strinse una forte amicizia con un infermiere tedesco, ma, dai  giorni successivi all’ 8 settembre del 1943, la situazione nel campo cambiò.  Gli italiani accusati di “tradimento dell’alleanza” furono vittime di altri soprusi. La relazione tra i due cambiò, da  amici, diventarono nemici, e il nonno si ritrovò imprigionato in un altro campo di concentramento: a Mauthausen in Austria. Ancora una volta, però, si trovò in una posizione di particolare privilegio rispetto ad altri prigionieri: gli fu affidato il lavoro nei campi per la raccolta degli ortaggi. Era fortunato, poteva mangiare anziché patire la fame; la cosa che più ci ha colpito è che, nonostante il rischio per la sua vita, il nonno donava di nascosto il suo cibo a chi era più debole, impediva che altri prigionieri venissero maltrattati e, quando possibile, cercava di salvarli.  La sua solidarietà e il suo coraggio sono stati  straordinari. Sapeva che ogni gesto di compassione lo metteva in pericolo, ma non esitava a fare ciò che poteva per gli altri. Le parole della signora Angela ci hanno fatto riflettere su quanto fosse dura la vita nei campi di concentramento. Ci ha raccontato delle torture, delle umiliazioni, delle condizioni di vita disumane, dei “giochi” dei generali tedeschi,  a cui dovevano sottostare, delle continue sirene notturne e delle marce al freddo e solo con la divisa. Immaginiamo, noi oggi, di mangiare solo pane duro e brodo acido, di dormire su letti arrugginiti e di essere costantemente minacciati dalla paura. Anche il racconto dell’invio delle lettere ci ha toccato. I prigionieri potevano scrivere ai loro genitori, ma solo sotto severi controlli. Dovevano scrivere che tutto andava bene, senza mai raccontare la realtà di ciò che stavano vivendo. Le lettere venivano lette e controllate, ed era possibile scrivere solo perché pochi sapevano farlo. Il momento finale del racconto ci ha lasciato un’emozione mista tra inquietudine e sollievo. Quando il nonno fu finalmente rilasciato e si diresse a piedi verso casa, con un’arma in mano per difendersi, aveva una paura immensa. Non sapeva più chi fosse amico e chi fosse nemico. Durante il tragitto tra Metaponto e Ginosa, incontrò un altro uomo e, per tutta la notte, pensarono di essere nemici, pronti a spararsi a vista. Ma quando si incontrarono all’alba, si accorsero di essere compaesani, entrambi erano stati prigionieri dello stesso campo. La tensione di quei momenti, il rischio di non riconoscersi, ci ha fatto capire quanto il trauma della guerra possa trasformare anche una situazione normale in un incubo. In classe, durante il racconto, abbiamo provato tantissime emozioni: incredulità, tristezza, ma anche un profondo rispetto per la forza di volontà e la dignità che alcune persone sono riuscite a mantenere anche nelle circostanze più terribili. La storia di un uomo che, nonostante tutto, non si è lasciato abbattere e ha lottato per la sopravvivenza e per l’umanità, ci ha fatto riflettere sulla nostra realtà. Ci siamo sentiti fortunati, ma anche molto più consapevoli delle atrocità che sono state commesse, e di quanto sia importante non dimenticare mai ciò che è successo. Il dolore e la sofferenza di quelle persone devono essere una lezione per tutti noi, affinché simili orrori non possano mai più accadere. Questa testimonianza ci ha fatto anche pensare al silenzio che spesso circonda le storie di guerra. Il nonno non aveva mai parlato di quello che aveva vissuto, ma la sua esperienza era rimasta viva nei suoi gesti e nelle azioni di aiuto verso gli altri. Ci ha insegnato che, a volte, le parole non sono necessarie per trasmettere il valore di un’esperienza: basta il coraggio di vivere, di aiutare e di resistere. Ringraziamo la prof. ssa Mele che ci ha regalato due momenti importanti in questi giorni, la visita al Museo Mupa per visionare la mostra da titolo “Dall’Italia ad Auschwitz” e la testimonianza diretta di un cittadino del nostro territorio. Un grazie alla Dirigente scolastica Marianna Galli che è sempre aperta alle iniziative che arricchiscono il cuore e la mente

Serena Murro

classe 2^B plesso Deledda