di Fabiola Napolitano
“Ed io salpai: l’anima raccolta fra le mani, e un sacchetto di semi da germogliare nella terra che amorevolmente avrei vangato al di là del nostro mare”. Le parole citate sono riprese dal libro “Sotto il cielo di Lampedusa” di Erri de Luca che risulta essere un documento perfetto per rovesciare la visione di Lampedusa e le tragedie del Mediterraneo senza pietismi o clamori ma solo con un messaggio preciso di solidarietà e rinascita. L’emigrazione è un fenomeno che ha segnato profondamente la storia dei popoli e delle nazioni rappresentando un processo di spostamento di individui o interi gruppi da un paese d’origine verso un altro. L’emigrante che parte sa sempre perché lo fa e cosa si lascia dietro: negli anni dal 1850 al 1914 milioni di italiani emigrarono verso gli Stati Uniti, il Sud America e l’Australia per cercare migliori condizioni di vita così come al giorno d’oggi c’è chi lascia il suo paese d’origine alla ricerca di un futuro migliore. Tuttavia, c’è anche chi purtroppo non decide di emigrare per scelta: il suo è un “viaggio della speranza” , nel quale si immagina di trovare al di là dei confini che i propri occhi riescono ad osservare (un po’ come Leopardi con il suo ermo colle) un’ancora alla quale aggrapparsi per continuare a vivere senza terrore o sottomissione. Un emigrante non dimentica mai la sua terra, la porta con sé come se fosse una valigia di ricordi e usanze. Questa è una valigia che non riesce a rimanere chiusa, ma sente l’esigenza di manifestarsi in modo sincero come un fanciullino ingenuo ed istintivo. Lo scultore Bruno Catalano, migrante lui stesso nel corso della sua vita, attraverso le sculture “I Viaggiatori” esposte ad Amalfi, ha scelto di farci comprendere quanto un migrante perda anche una parte di sé nel lasciare il suo Paese. Più che statue le opere di Bruno Catalano, classe 1960, sono la rappresentazione di esseri umani strappati, attraversati da un immenso vuoto che evoca la cicatrice della partenza e della separazione, le identità frammentate dalle difficoltà, o le zone d’ombra dell’immagine di loro stessi. «Provenendo dal Marocco, anche io ho viaggiato con valigie piene di ricordi che rappresento così spesso nei miei lavori. Non contengono solo immagini ma anche vissuto, i miei desideri: le mie origini in movimento». Chi parte, quindi, inconsapevolmente porta tanto con sé, ma perde anche qualcosa che non tornerà più. Bisogna, però, ricordare che chi lascia il posto in cui ha vissuto, coltivato i suoi affetti, programmato i suoi obiettivi con speranza e dedizione perché non gli è concesso di vivere all’insegna della libertà rappresenta una sconfitta per ogni essere umano al di là dei confini territoriali e geografici. Come diceva John Donne in una delle sue poesie: “Nessun uomo è un’isola” e ognuno ha la sua parte in questa grande scena che è la vita.
“Così, figli miei,
una volta vi hanno buttato nell’acqua
e voi vi siete aggrappati al mio guscio
e io vi ho portati in salvo
perché questa testuggine marina
è la terra
che vi salva
dalla morte dell’acqua.”- Alda Merini