All’inizio del Novecento, l’Italia era una nazione giovane e inquieta. Uscita da un processo di unificazione nazionale ancora incompleto sul piano sociale ed economico, il Paese era profondamente segnato da disuguaglianze tra il Nord industrializzato e il Sud agricolo, da tensioni sociali crescenti e da un sistema politico liberale incapace di rappresentare realmente le masse popolari. La Prima Guerra Mondiale esasperò questo scenario, erano diffusi fame, disoccupazione e tumulti operai. L’intellettuale Antonio Gramsci vive e sviluppa il suo pensiero in questo contesto. Nato in Sardegna nel 1891, Gramsci fu un intellettuale fuori dal comune, capace di fondere passione politica e rigore teorico. Dopo essersi trasferito a Torino per studiare, entrò in contatto con l’ambiente operaio e socialista della città industriale. Proprio a Torino matura la sua visione politica, ispirata al marxismo, ma profondamente legata alla realtà italiana. Nel 1921, in un momento in cui il Partito Socialista appariva diviso e incapace di affrontare le sfide del tempo, Gramsci fu tra i principali fondatori del Partito Comunista d’Italia a Livorno. Egli vide nel nuovo partito una possibile avanguardia rivoluzionaria, capace di educare, organizzare e guidare le masse. L’ideale gramsciano era quello di una trasformazione profonda, non solo delle strutture economiche, ma anche della coscienza collettiva. Contemporaneamente, con la marcia su Roma del 1922, Mussolini prese il potere e in pochi anni instaurò la dittatura fascista che schiacciò ogni forma di dissenso. Gramsci, eletto deputato nel 1924, cercò di opporsi anche in Parlamento, ma il regime non tardò a colpire. Nel 1926 venne arrestato, nonostante l’immunità parlamentare. Uno dei giudici del processo dichiarò: “Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per almeno vent’anni”. Durante gli anni della prigionia scrisse i “Quaderni dal carcere”, che contengono osservazioni sull’educazione e sulla scuola, e “Le lettere dal carcere”. La proposta educativa gramsciana si basa sulla nascita di scuole-collegio dotate di strutture di servizio e orientate a stimolare la partecipazione degli allievi. In particolare, Gramsci è stato un illuminato per aver sostenuto una scuola disinteressata, dove il fanciullo abbia la possibilità di formarsi. La scuola professionale frequentata dai figli del proletariato era un’incubatrice di piccoli mostri aridamente istruiti per un mestiere, e non una scuola dove la cultura è posta al primo posto. La civiltà industriale, il capitalismo, richiedeva questo. Gramsci immaginava una scuola disinteressata, aperta a tutti, unica e uguale, perché l’educazione è una delle attività più nobili, permette di plasmare l’uomo in una direzione particolare e di elevare la sua personalità. L’educazione forma i giovani uomini che saranno i futuri cittadini attivi della società, quindi l’istruzione deve permettere la creazione di individui originali e non copie conformi. Ciò è molto complesso da raggiungere, poiché il pensiero critico va continuamente coltivato e il potere politico dittatoriale, e per certi aspetti il sistema economico, prediligono individui docili, facilmente manipolabili. Nel 1923 Giovanni Gentile si occupò della riforma scolastica, definita la più fascista delle riforme, proprio perché attraverso la riforma della scuola è possibile plasmare i giovani e le masse popolari. Gramsci voleva essere libero, di pensare, di esprimersi e di agire, ma questo gli è stato negato. Egli ha provato a dissentire e a difendere i suoi diritti, però fu punito: il potere fascista lo arrestò con l’accusa di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. La libertà di espressione è fondamentale, permette agli individui di condividere idee, opinioni e critiche, anche scomode, contribuendo alla crescita di una società democratica e pluralista. Tuttavia, il conformismo può rappresentare un limite determinante a questa libertà. La pressione sociale e la propaganda politica portano all’autocensura e appiattiscono il pensiero critico. Difendere la libertà di espressione significa avere il coraggio di dissentire, di opporsi alle idee dominanti e mantenere viva la diversità delle idee. Le parole di Gramsci, dopo quasi un secolo, ispirano ancora numerose riflessioni. Nella lettera a Carlo del 25 agosto 1930, Gramsci si apre in modo personale e riflessivo. Esprime la sua visione e alcune critiche riguardo l’educazione dei ragazzi. Innanzitutto afferma che la vita del ragazzo può essere divisa in due grandi fasi: prima e dopo la pubertà. Prima di essa la personalità del ragazzo è ancora incompleta e può essere guidata, mentre dopo la pubertà ogni intervento estraneo diventa odioso, tirannico e inefficiente. L’intervento familiare nella guida della formazione deve essere puntuale e i metodi violenti, ai quali si ricorre quando ormai è troppo tardi, risultano poco efficaci. L’abitudine alla dedizione allo studio deve essere sviluppata sin da piccoli. Gramsci nutre grande rispetto per lo studio ed è consapevole che l’arte della comprensione richiede sforzo e costanza. Gramsci ha l’impressione che le generazioni anziane abbiano rinunciato ad educare i figli, quindi paradossalmente persino gli educatori necessitano di essere educati. Loro hanno fallito e Gramsci pare deciso a porre all’attenzione questa problematica. Quintiliano, figura centrale nella storia della pedagogia e maestro dell’arte retorica, può essere considerato un vero precursore dell’educazione moderna. Nella sua opera più celebre, Institutio Oratoria, egli denuncia con fermezza l’inefficienza delle punizioni corporali, giudicandole non solo inutili, ma anche dannose. Per Quintiliano, la violenza non rappresenta una via percorribile: non forma, non corregge e non eleva. Al contrario, egli incoraggia il rispetto e la costruzione di un legame profondo tra insegnante e allievo. Ma il suo pensiero va ben oltre il semplice rifiuto della coercizione: Quintiliano auspica una formazione integrale dell’individuo, in cui l’istruzione non si limita al trasferimento di conoscenze tecniche, ma coltivi contemporaneamente la dimensione morale. La formula “Vir bonus dicendi peritus” racchiude l’essenza del suo ideale educativo : non basta saper parlare bene, bisogna essere persone moralmente giuste. Il perfetto oratore, secondo il modello ciceroniano a cui Quintiliano si ispira, non è solo un abile comunicatore, ma un cittadino al servizio della communis utilitas, il bene comune. La sua parola, dunque, non è fine a sé stessa, ma strumento per guidare le decisioni del Senato e orientare la volontà del popolo. In questa visione dell’insegnamento come missione civile e morale si può cogliere un’affinità profonda con il pensiero di Gramsci, per il quale l’insegnante e la scuola rappresentano pilastri fondamentali nella formazione delle nuove generazioni. Anche Gramsci vede nell’educazione una forza capace di trasformare la società, attribuendo alla figura del docente un ruolo guida. Di tutt’altro parere era Sant’Agostino, anch’egli maestro di retorica. Egli non riconosce l’utilità del maestro in senso tradizionale, perché riteneva che ogni individuo fosse, in ultima istanza, maestro di sé stesso. Secondo Agostino, la vera conoscenza nasce dall’interno, come un’illuminazione interiore guidata dalla ragione e dalla coscienza, più che trasmessa da un altro essere umano. Personalmente, ritengo che una guida sia spesso necessaria. Non tutti sono in grado di affrontare lo studio in totale autonomia, né tutti dispongono degli strumenti critici per orientarsi nel sapere. Valuto il pensiero di Gramsci come qualcosa di ancora estremamente attuale. Possiamo imparare molto da lui, soprattutto sull’importanza della libertà, dell’istruzione e della capacità di pensare in modo critico. Egli sognava una società fatta di persone consapevoli e istruite. Ciò che maggiormente mi ha colpito di lui è il suo rapporto con lo studio; nonostante le difficoltà economiche, non lo ha mai messo in secondo piano. Anzi, lo considerava fondamentale per acquisire gli strumenti necessari alla ribellione dall’ignoranza e dall’ingiustizia. E poi c’è la sua incredibile coerenza. È rimasto fedele alle sue idee anche quando questo ha cambiato la sua vita: ha trascorso più di dieci anni in carcere, è morto lì dentro e non ha più rivisto i suoi figli. Attualmente la Costituzione italiana, con l’articolo 34, garantisce il diritto all’istruzione per tutti i cittadini e promuove l’uguaglianza nell’accesso alla formazione, sostenendo i più meritevoli anche se economicamente svantaggiati, e questo ha un’importanza essenziale per la società.