VITERBO – Se ti senti perennemente svogliato, svuotato di energie e senza voglia di fare nulla, potresti essere vittima di un’antica nemesi dell’umanità: l’acedia. Un termine che suona quasi esotico, ma che in realtà descrive uno stato d’animo fin troppo familiare. È quella sensazione di inquietudine mista a pigrizia, un’apatia che non è proprio tristezza, ma nemmeno semplice noia. È un non voler fare, un voler essere altrove senza sapere dove. Insomma, un’eterna domenica pomeriggio d’inverno.
Cos’è l’acedia e perché ne soffriamo L’acedia non è un’invenzione moderna. Già i monaci medievali la conoscevano bene e la temevano più di ogni altra tentazione. La chiamavano “il demone del mezzogiorno”, perché colpiva nel pieno della giornata, quando il lavoro si faceva più pesante e la mente cercava distrazioni. Oggi il nostro mezzogiorno dura 24 ore su 24: smartphone, social media, Netflix e infinite forme di procrastinazione ci permettono di sfuggire alle nostre responsabilità con la rapidità di un click. Ma il problema resta lo stesso: siamo sopraffatti da una sensazione di immobilità esistenziale. Gli antichi la associavano alla pigrizia spirituale, a una perdita di senso che portava a un’apatia totale verso la vita e il mondo. Oggi potremmo definirla come una sorta di burnout emotivo, una risposta all’iperstimolazione continua e alle pressioni sociali che ci spingono a essere sempre produttivi e performanti.
Come si manifesta? L’acedia non è depressione clinica, ma può somigliarle. Non è neanche semplice pigrizia, perché chi ne soffre non gode del riposo. È quella sensazione di non avere voglia di nulla, nemmeno delle cose che solitamente ci piacciono. Ti siedi davanti alla tua serie preferita ma ti annoia. Prendi il telefono in mano e scivoli nell’ennesimo scroll infinito di video senza senso. Provi a lavorare, ma tutto ti sembra inutile. Eppure, a differenza della depressione, l’acedia spesso è intermittente: a volte svanisce per qualche ora o giorno, per poi tornare a farti compagnia. Come quel vecchio amico che non sai mai se invitare o meno a cena.
Acedia e società moderna: problema senza tempo Se i monaci medievali si rifugiavano nella preghiera e nella contemplazione per sfuggire all’acedia, noi oggi proviamo a combatterla con mille distrazioni. Ma funziona? Non proprio. La società moderna ci bombarda di stimoli e ci fa sentire costantemente in difetto: dovremmo essere sempre felici, motivati, produttivi, socialmente attivi. E se non lo siamo, ecco che scatta l’ansia da prestazione. L’acedia, paradossalmente, è anche una risposta a questa pressione. Viviamo in un’epoca in cui il tempo sembra sfuggirci di mano. Lavoro, social media, notizie continue, appuntamenti, obblighi… Tutto questo lascia poco spazio per la noia sana, quella che stimola la creatività e il pensiero profondo. Invece, ci troviamo in un limbo in cui nulla ci soddisfa veramente, ma al tempo stesso temiamo il silenzio e l’inattività. È un cane che si morde la coda, e spesso la soluzione non è così immediata.
Come affrontare l’acedia? Per superare l’acedia, il primo passo è riconoscerla. Non è solo pigrizia, non è solo stanchezza: è un malessere più sottile, che spesso nasce dal sovraccarico mentale o dalla mancanza di uno scopo chiaro. Ritrovare il senso delle cose, fare qualcosa senza aspettarsi subito un risultato concreto, darsi il permesso di fermarsi davvero, sono tutte strategie utili. A volte, la soluzione è proprio quella di abbracciare la noia, senza cercare di riempirla subito con distrazioni. Altre volte, basta un piccolo gesto: spegnere il telefono per un’ora, camminare senza meta, leggere qualcosa di ispirante, dedicarsi a un hobby senza la pressione della performance.
E se tutto questo non funziona? Beh, forse è il momento di accettare che qualche giornata storta fa parte della vita. E che, in fondo, anche il demone del mezzogiorno ogni tanto ha bisogno di una pausa caffè.
Alessia Latini
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