//Tito, che belle parate fuori dal campo…

Tito, che belle parate fuori dal campo…

di | 2020-09-12T15:17:18+02:00 13-9-2020 7:00|Punto e Virgola|0 Commenti

Il mondo del calcio a livello professionistico è fatto di tanta apparenza, di ingaggi milionari, di paillettes e lustrini come un grande spettacolo. Ne siamo quasi tutti attratti e affascinati perché il tifo e la passione non conoscono confini e accettano anche le esagerazioni. Eppure ci sono storie, sconosciute ai più, che meritano di essere raccontate e rivissute. Come quella di Astutillo Malgioglio, oggi sessantaduenne, portiere di buone qualità che però veniva ricordato solo per il nome stranissimo, il cognome uguale a quello di un cantante, i capelli lunghi e i baffoni spioventi.

Era un discreto portiere Tito (i compagni lo chiamavano così): fisico possente e tanto coraggio. Vale la pena cominciare quasi dalla fine, cioè da una domenica di marzo del 1986 quando Astutillo al termine di un Lazio – Vicenza, finita 4-3 per gli ospiti, corre verso la curva laziale, si toglie la maglia, fa il gesto di sputarci sopra, la lancia contro le reti e se ne va. Un’azione eclatante, subito ferocemente condannata non solo dai supporters biancazzurri e dalla società (che ne chiede il licenziamento e anche la radiazione) e nella pressoché totale indifferenza del calcio, che sfocia spesso nella ricerca di un capro espiatorio: l’estremo difensore è il bersaglio ideale. Parla poco e soprattutto ha una difetto che non gli si può perdonare: aiuta i giovani disabili, curando gratis quelli più bisognosi. Nella sua città, Piacenza, ha aperto una palestra che ha chiamato ERA 77 (sono le iniziali dei nomi della moglie Raffaella, della figlia Elena, nata appunto nel 1977 e del suo): è il luogo dove accoglie i portatori di handicap e li aiuta a ritrovare un’esistenza più serena.

Tito aveva conosciuto il mondo della disabilità a 20 anni quando giocava nel Brescia durante una visita in un centro specializzato: “Mi impressionò la loro emarginazione – racconta –  e il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. Quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non è solo una palla di cuoio. Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto la mia palestra: lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli”. Le prestazioni con la Lazio non erano state particolarmente convincenti, ma gli veniva rimproverato il fatto di aver giocato con la Roma (era stato il vice di Tancredi), l’amicizia col capitano giallorosso, Agostino Di Bartolomei (col quale visitavano le terapie intensive) e soprattutto di dedicare tutto il suo tempo libero, comprese le ferie, ad un’attività extracalcistica. Gli insulti della Curva Nord dell’Olimpico si sprecano; uno striscione recita “Romanista, sei il primo della lista”; insulti e minacce anche per Raffaella quando va a fare la spesa; dopo una partita gli sfasciano l’auto a colpi di spranga e lui deve tornare a casa scortato dalla Polizia. Lui sopporta, si chiude ancora di più in se stesso, ma, come sempre, c’è la goccia che fa traboccare il vaso: non è tanto il fatto che gli urlano “mongoloide” quanto un altro striscione apparso sulle gradinate dello stadio romano: “Tornatene dai tuoi mostri”.

Stavolta Tito non ci sta e al termine della partita col Vicenza compie quel gesto plateale che persino alcuni giornali condannano senza sapere cosa c’è dietro: “Non offenderà più la maglia”. “Ho sbagliato, ma dovevo fare qualcosa – spiega convinto -. Sono stato trattato come una bestia. Scappo per salvare mia moglie e mia figlia: non sono un ladro, non sono uno venduto. Questo mondo non mi piace più, nemmeno i soldi mi interessano. Ho solo nausea”. Ma il suo rapporto col pallone non è ancora finito perché mentre è a casa gli arriva una telefonata da Giovanni Trapattoni che allena l’Inter: “Uno come te – gli dice – non può restare fuori. Perché non vieni da noi a fare il secondo di Zenga? Abiti a Piacenza, a un’oretta da Milano, così potrai pure continuare a seguire i tuoi ragazzi…”.

Malgioglio accetta ed incomincia per lui una nuova avventura lunga 5 anni, durante i quali gioca poco (appena 12 presenze) ma intanto è entrato nel cuore dei tifosi nerazzurri. E c’è anche un altro piccolo miracolo: un giorno porta a Piacenza il compagno di squadra Jurgen Klinsmann, che passa molto tempo coi ragazzi e alla fine decide di aiutare l’associazione ERA77 con una cospicua donazione. Peraltro, una raccolta fondi organizzata dall’Associazione italiana calciatori si chiude con un flop clamoroso: appena 700mila lire, una miseria in un mondo di miliardari. Accade anche che, nel 1989, debba tornare a Roma per la partita con la Lazio: quella domenica Zenga è infortunato e quindi tocca a lui. Lo convincono anche con grande fatica a compiere un gesto di pacificazione: lasciare un mazzo di fiori sotto la curva degli ultras. Lo accolgono lanciandogli di tutto e lui resta pure ferito. La partita inizia con 15 minuti di ritardo, ma va in campo sebbene sanguinante. L’Inter perde 2-1, Tito è il migliore in campo. “Durante i ritiri, la sera, Trapattoni aveva l’abitudine di fare il giro delle stanze per dire una parola a ciascuno di noi – ricorda -. A volte entrava nella mia, si fermava sulla porta e si metteva a piangere. Non diceva niente, ma in realtà mi parlava. Era un uomo che viveva per il calcio e per il lavoro ma che sapeva che nella vita c’è molto altro. E se io ero lì, davanti a lui, era perché ero un buon portiere, certo, ma anche perché aveva visto in me l’uomo”.

Quando finisce l’era del Trap in nerazzurro, termine anche la sua avventura, gioca un’altra stagione con l’Atalanta, poi dice basta nel 1992, a 34 anni dopo 264 gare disputate fra i professionisti. Non finisce però l’impegno con i suoi ragazzi sfortunati, ma anche qui iniziano le difficoltà soprattutto di carattere economico, aggravate anche da alcune problematiche personali, Nel 2001, ERA77 chiude i battenti e Tito decide di ritirarsi per combattere meglio i suoi problemi di salute. Per fortuna le cose migliorano e con la moglie Raffaella ricomincia ad operare per dare una mano a chi soffre: è testimonial in iniziative benefiche, sviluppa progetti di sporterapia e continua a battersi per l’integrazione nello sport fra disabili e normodotati. Nel 1995 riceve il premio “Sportivo Più”, nel 2017 è insignito del premio ISUPP (acronimo di “Io sono una persona perbene”), mentre l’Inter nel 2019 gli conferisce il premio BUU (Brothers Universally United) per “il suo insegnamento, la capacità di spendersi in maniera sincera e silenziosa per chi soffre”. E i tifosi del Brescia lo scelgono come miglior numero uno del secolo delle Rondinelle.

Grazie Astutillo “Tito” Malgioglio: le parate più belle le hai compiute fuori dal campo.

Buona domenica.

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