//I cacciatori padroni delle campagne

I cacciatori padroni delle campagne

di | 2020-04-26T06:37:48+02:00 26-4-2020 6:34|Top Blogger|0 Commenti

In campagna a raccogliere funghi no, con il fucile sì. In campagna con la macchina fotografica no, con il fucile sì. In campagna a respirare aria sana no, per sparare agli animali sì. Lo ha stabilito una delibera della Regione Lazio che nel pieno delle restrizioni messe in atto per combattere il Coronavirus ha dato la possibilità ai cacciatori di abbattere cinghiali fino al prossimo 30 aprile.
Un provvedimento che oltre ad apparire anacronistico agli occhi degli ecologisti, ha scontentato quanti in questo periodo avrebbero voluto e potuto sfuggire alla segregazione casalinga sfogando la propria solitudine in quelle che in precedenza sono state salutari e distensive uscite all’aria aperta.
E non è una novità che l’attività venatoria in Italia goda da sempre di particolari privilegi mossi da interessi economici non di poco conto come quello dell’industria armiera e dagli introiti che acquisisce lo Stato stesso con le licenze di caccia.
La produzione di armi e munizioni per uso civile, sportivo e venatorio in Italia vale 7 miliardi 293 milioni di euro corrispondenti allo 0,44% del Pil nazionale, con 87.549 occupati, cioè lo 0,56% di lavoratori totali italiani e lo 0,69% degli occupati nell’industria manifatturiera e nel terziario.
Poi, tanto per farsi un’idea, guardiamo alla regione Lazio dove 60.000 cacciatori pagano annualmente 10.389.600 euro allo Stato per la licenza di caccia, 1.959.000 euro alla Regione per il tesserino su cui indicare i giorni di caccia e le prede. A questo va aggiunto il costo dell’ATC che costa oltre 100 euro a cacciatore. E in Italia gli amanti della doppietta sono quasi 800 mila.
Evidente quindi che alla lobby della caccia tutto sia concesso, anche quando la situazione del momento impone restrizioni alle quali nessuno dovrebbe sfuggire. Tanto meno la caccia che certamente non è un’attività essenziale e neppure necessaria. E a tal proposito va ricordato che proprio l’attività venatoria in Italia causa più vittime di quella criminale di rapine e furti.
L’associazione Vittime della caccia (Avc), come ogni anno, ha pubblicato il suo dossier sui morti e feriti per armi da caccia. Nel corso della stagione venatoria 2019/20 sono state uccise 27 persone e 67 sono state ferite, per un totale di 94 vittime. Rispetto allo scorso anno, in cui si erano registrati 21 morti e 51 feriti, si è dunque verificato un incremento delle vittime.
I cacciatori, numericamente, sono le principali vittime della caccia, con 20 morti e 51 feriti. Incidenti che avvengono soprattutto proprio durante le battute al cinghiale. Ma se i cacciatori conoscono e accettano il rischio necessariamente legato a un’attività che prevede l’uso di armi da fuoco, la stessa cosa non si può dire delle vittime civili, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sette le persone uccise e sedici quelle ferite mentre passeggiavano, andavano in bici, raccoglievano funghi o passeggiavano nei boschi.

Insomma in Italia uccide più la caccia che furti e rapine. E nonostante ciò, in tempi di Coronavirus, è proprio la caccia – e quindi i cacciatori – a godere di privilegi negati ad altri.

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