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Sigismondo, tanto caro al grande Raffaello

di | 2019-03-03T08:57:33+01:00 3-3-2019 6:35|Arte, Cultura, Sezione 8|0 Commenti

 

FOLIGNO (Perugia) –  L’esposizione nella chiesa di Sant’Anna de “La Madonna di Foligno” di Raffaello ha consentito di far tornare in primo piano la figura di un grande intellettuale folignate, Sigismondo de’ Conti (1430-1512), l’esteta che commissionò al grande pittore urbinate il quadro dopo lo scampato pericolo della caduta di una bombarda (o di un meteorite) sulla sua casa. Sigismondo aveva svolto il suo lavoro di redattore dei brevi e delle epistole e di scrittore apostolico, prima per Sisto IV (Francesco della Rovere), poi a favore di Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo), quindi ingaggiato da Alessandro VI (Rodrigo Borgia) e, infine, al servizio di Giulio II, il papa guerriero (Giuliano della Rovere). Insieme a quest’ultimo, allora cardinale, aveva partecipato, come uditore, della nunziatura biennale in Belgio, perché le sue doti di buon senso e mitezza risultavano estremamente importanti nelle trattative tra gli Stati (fu molto apprezzato il suo contributo anche nei rapporti con la Repubblica di San Marco).

Figlio di Astorello, conte di Antignano e Coccorano, proprietario di terre e castelli a Todi e Spoleto, Sigismondo (nella foto a destra) aveva iniziato a studiare sotto la guida del padre e di istitutori privati, per poi approfondire e completare all’università (forse prima a Perugia e poi a Roma) la sua preparazione culturale.

Nel 1472 aveva sposato Allegrezza (o Letizia) degli Atti, di nobile famiglia folignate originaria di Todi, che gli aveva dato tre figli (Gianfrancesco. Pressilla, Cecilia). Padrone del greco e del latino (scriveva in un corretto stile ciceroniano), poeta discreto anche in volgare di temi amorosi ed epici (lo definirono “degno dell’onore della lira arcadica”), Sigismondo fu chiamato dapprima quale “ghost wrhiter”, si direbbe oggi, dal vescovo Leonardo Dati di Massa e poi alla corte Pontificia da Sisto IV. Viveva in una splendida villa sul Gianicolo, ricca di acque, giardini, frutteti, dove riceveva gli amici (tra i quali gli umanisti Pietro Bembo e Alessandro D’Alessandro), ma non dimenticava la sua Foligno, della quale nell’agosto del 1471 fu nominato cancelliere (senza contare che era anche castellano di Colfiorito e di Rasiglia e che venne onorato pure del titolo di gonfaloniere della città umbra). Frequentava con costanza l’Accademia Romana di Pomponio Leto. Insomma un intellettuale tout court.

Nel 1502 rassegnò le proprie dimissioni: non andava d’accordo con il Borgia, prepotente e pericoloso? Eppure il pontefice gli consentì, anche da privato, di mantenere il titolo, le insegne (la cappa rossa dei cubiculari) e la dignità del suo stato. Fu una breve parentesi, tuttavia: Giulio II lo richiamò appena eletto, nominandolo segretario domestico prima e anche segretario politico, poi, carica che tenne sino alla morte. Sigismondo, tra l’altro, aveva l’incarico di introdurre nel concistoro pubblico gli ambasciatori stranieri, presentando le loro credenziali e rappresentando le loro comunicazioni. Ebbe anche l’onore di essere prefetto della fabbrica di San Pietro e pertanto tenne contatti diretti con una miriade di grandi artisti, tra i quali Michelangelo e Raffaello.  Scrisse anche le “Historiae suorum temporum”.

Nel 1511 incaricò Raffaello del grande quadro divenuto noto come “La Madonna di Foligno”. Morì però prima che l’artista potesse completarlo. L’opera venne posta sull’altare maggiore di Santa Maria in Aracoeli, dove Sigismondo venne sepolto. Fu dopo oltre cinquanta anni che una nipote dello scomparso, monaca, fece trasferire il quadro nella chiesa di Sant’Anna di Foligno. Una bella fetta dell’eredità di Sigismondo (3000 scudi d’oro) andò alla fabbrica del Duomo di Foligno, dopo la morte dell’ultimo della sua stirpe, Ludovico. Lo stesso Sigismondo, quando era ancora in vita, fece ricostruire o ristrutturare le mura e le chiese di Foligno, a sue spese.

Per tornare alla Madonna di Foligno i francesi la requisirono nel 1797 e la portarono a Parigi. Regista dell’operazione quel Francois Toussant Hacquin, dall’occhio lungo, lo stesso che si portò via anche la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci. Con il trattato di Tolentino la Madonna del Sanzio tornò in Italia, ma Pio VII preferì trattenerla a Roma.

Quella tela ha reso immortale Sigismondo, rappresentato, con una toga rossa,  insieme a San Francesco e San Girolamo.

Elio Clero Bertoldi

Nella foto di copertina, un particolare dell’opera di Raffaello La Madonna di Foligno

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