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Rigenerazione urbana, ma a vantaggio di chi?

di | 2020-07-31T18:13:37+02:00 2-8-2020 6:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

ROMA – Le nostre città cambiano non solo perché crescono, continuamente, espandendosi. Cambiano architetture al proprio interno: il nuovo rimpiazza il vecchio. La legge regionale del Lazio 7/2017 parla di “rigenerazione urbana”, e serve al “recupero edilizio di aree urbane degradate e tessuti edilizi disorganici e incompiuti”. Il fine ultimo è limitare il consumo di suolo e privilegiare l’utilità sociale. Questo sulla carta. Nella realtà, la “rigenerazione” si manifesta in forme inaspettate, decontestualizzate, talmente innovative da farne una “neo-generazione”. Delicatezza dei termini. E di aderenza delle parole alle cose.

La stazione di Roma Tiburtina

Il caso di Roma offre talmente tanti esempi da perdercisi. Tra i più macroscopici c’è quello della stazione ferroviaria Tiburtina: da un paio d’anni un immenso ponte di metallo e cristallo disegna un architrave che sovrasta l’intero fascio di binari. È un soprapasso (che si aggiunge al sottopasso preesistente, e ancora funzionante), con scale mobili verso ciascuna piattaforma tra coppie di binari, che funge soprattutto da immensa galleria dello shopping. La preesistente struttura degli anni Trenta (realizzata secondo un design razionalistico alla Terragni, semplice e diretta) è stata demolita dapprima nella sua ala sud (quella adibita a transito passeggeri) e recentemente nei restanti locali dell’ala nord (magazzini e uffici) per 7200 metri quadri. Il lotto C1, come quest’ultimo è stato denominato, dovrebbe ospitare strutture che Ferrovie dello Stato rappresentano come segue: http://www.fssistemiurbani.it/content/fssistemiurbani/it/grandi-investimenti/roma/lotto-c1-roma-tiburtina1.html . In concreto, la società ex pubblica non dichiara quale sarà la finalità delle nuove strutture (alberghi? Centri commerciali?).

L’architetto Alessandro Galassi

Il castello d’acqua resta, lasciato eretto come monumento a se stesso (un po’ come la ciminiera di Valle Aurelia FS: nessuno sa che fino agli anni Settanta lì sorgeva un villaggio operaio spontaneo). Il punto è: in quali termini la legge regionale sulla rigenerazione urbana si incontra (o scontra?) con l’articolo 9 della Costituzione? Qui si afferma “il progresso della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” e (non o!) la “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione”. La nuova stazione ferroviaria era essenziale a nuove funzioni tecniche del progresso dei treni? O celebra solo nuove funzioni estetiche, inclini a un hi-tech spinto e lontano dal paesaggio urbano? E queste ultime sono più di pubblica, o di privata utilità sociale? La questione è, e resta, non giuridica, ma squisitamente politica e culturale.

“Nelle procedure di definizione degli interventi di rigenerazione urbana – spiega l’architetto e urbanista Alessandro Galassi – è centrale il processo di concertazione tra parti in gioco, come elemento essenziale di partecipazione”. In tale processo i Comuni sono garanti e arbitri del tavolo di concertazione. Ma è facile pensare a quale squilibrio di forze in gioco si possa assistere quando a un tavolo di partecipazione siedono un colosso come FS e dei soggetti associativi (un comitato di quartiere?). Il fenomeno della rigenerazione non investe solo aree e strutture riconducibili all’archeologia industriale, su cui non esiste un’univoca legislazione nazionale e ogni Regione fa quel che può (se vuole).

Villino rigenerato a Città Giardino a Roma

La rigenerazione scatta anche su strutture più nobili della città, che ricondurre a “aree urbane degradate e tessuti edilizi disorganici e incompiuti” sarebbe davvero arduo. È il caso del quartiere di Città Giardino a Roma, sorto cent’anni fa a pionieristica interpretazione di modello della garden city inglese, con villini tra il liberty e il razionalista, già ampiamente sfoltiti negli anni Sessanta per far posto a “palazzine” (tuttavia ancora eleganti in sostanziale continuità con gli stili preesistenti), come l’architetto Galassi illustra nello splendido libro a quattro mani con Biancamaria Rizzo Città Giardino Aniene (432 pp. con raro apparato fotografico, Minerva edizioni, Bologna 2013). Un anno fa l’amministrazione ha dato nulla osta alla demolizione del Villino “Agnese” di via monte Nevoso, versione povera ma squisitamente ingegnosa (degli anni dell’autarchia) di un unico progetto eseguito con varianti sulla stessa via. Non si sa cosa sorgerà al suo posto. E intanto anche in una via attigua è sorto un fabbricato abitativo dal design decontestualizzato. Che il quartiere di Città Giardino sia, da Piano regolatore, inserito nella Città Storica, resta sulla carta. Figurarsi allora il resto della capitale. “Uno spazio urbano – conclude l’architetto Galassi – con la sua stessa forma educa e forma il cittadino”. Ma a quali modelli? L’articolo 9 della Costituzione resta sulla carta.

Francesco Maria Fabrocile

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