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Quel carrello solidale che “sveglia” il paese

di | 2020-05-24T12:55:42+02:00 24-5-2020 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

LEONFORTE (Enna) – È tempo di quarantena: Leonforte è chiusa in un silenzio sinistro scandito solo dall’urlo delle sirene e da una voce metallica che annuncia da un vecchio megafono: “E’ severamente vietato uscire di casa…”. Un mantra che scivola lungo le principali arterie del paese. Un cielo plumbeo per giorni incupisce un’atmosfera già appestata dalla paura. I pensieri si infettano anch’essi e la rabbia monta, l’angoscia per il futuro si abbatte come grandine sul raccolto e devasta gli animi di molti miei concittadini, compreso il mio, resi fragili della precarietà del lavoro e dell’incognita del futuro.

Lo sgomento si acuisce man mano che i numeri dei positivi aumenta e s’impenna quando le campane suonano a morte: una, due, tre… troppe volte.

Leonforte è ferita, il corso Umberto appare ai miei occhi una lunga cicatrice slabbrata che mostra nervi scoperti di un paese, una volta ridente feudo signorile.

La gente sembra ondeggiare sotto il carico dei pensieri, una vecchietta trascina il suo carrello della spesa mentre con una mano guantata di vinile solleva su per il naso una mascherina improvvisata e bofonchia impercettibile parole che hanno il suono di un lamento. Un ragazzo la osserva dall’altro lato del marciapiede, non può  che commuoversi per quella poveretta e porta dentro di sé il carico di quella sofferenza. Quell’immagine si è fissata, come inchiostro nero sulla carta, nella sua mente: non può rimanere indifferente, c’è bisogno di muoversi e agire. Si confronta con gli amici dell’associazione, insieme elaborano proposte, avanzano idee. È un bip continuo, una slavina di messaggi, un crescendo di emozioni: vogliono mettersi al servizio della gente, come già hanno fatto in altre occasioni.

Il gruppo contatta le altre associazioni presenti sul territorio, alcuni imprenditori, le istituzioni, la protezione civile, le forze dell’ordine che,  da quando infuria l’emergenza, lavorano febbrilmente per proteggere la comunità. Quei cittadini attivi sono una manna dal cielo. Armati di mascherina, guanti e fluorescenti giubbotti verdi si espandono per le vie del paese: coriandoli nel grigiore delle strade deserte. Lanciano la proposta dei carrelli solidali sui social, la gente risponde, i negozianti pure, non c’è esercizio commerciale che non ha il suo buon cesto della solidarietà: traboccano di spesa e di pensieri buoni. I giovani volontari, come api operaie, caricano pacchi, scaricano provviste mentre la Protezione civile smista, organizza e distribuisce muovendosi da nord a sud, da est a ovest per aiutare chi, per una ragione o un’altra,  è impedito ad uscire.

Leonforte è nel pieno dell’emergenza e, come ogni posto d’Italia, non si trovano più mascherine, quelle poche rimaste hanno costi proibitivi. Che fare?

Entrano in scena due imprenditori, due belle anime che, pur avendo dovuto abbassare come milioni di altre persone le saracinesche delle loro attività, non si lasciano imbrigliare dalle difficoltà economiche e offrono chi i tessuti, chi gli elastici, chi mezzi di trasporto, chi il proprio tempo. Coinvolgono madri, sorelle, cugine e chiunque abbia un po’ di confidenza con forbici e macchine da cucire. Sessanta sarte, a capo chino, imbastiscono mascherine artigianali da distribuire gratuitamente alla popolazione, ai vigili del fuoco, alla polizia. La notizia dilaga su Facebook, risuona di balcone in balcone, arrivano mail di richiesta alla Protezione civile e i soliti ragazzi, con il solito giubbottino verde fluo, con il viso mascherato ma gli occhi ridenti, offrono 15 cm di stoffa preziosa e in certi casi vitale. Percorrono a piedi le vie del paese, quartiere dopo quartiere, ora sono a Santa Croce, ora alla Granfonte, ora la Catena e su, su per la collina fino alla Madonnina, luogo simbolo della cittadina, meta di pellegrinaggio nel mese mariano per ringraziarla del miracolo ricevuto in occasione della peste del Seicento.

I ragazzi sono accolti benevolmente della gente e chi, come gli anziani digiuni del mondo virtuale, non sa come farne richiesta, dal balcone o dall’uscio di casa chiede mestamente di vendere loro una mascherina. “Non sono in vendita”, rispondono i ragazzi. “Si regalano”, aggiungono. E quegli occhi spesso annacquati dalla cataratta si illuminano all’improvviso e si accomiatano dai ragazzi con la forma più bella di ringraziamento: “U Signuri vu renni”.

Il bene diventa contagioso e chi può  cuce e distribuisce mascherine: si trovano, adesso, anche nelle farmacie e nelle sanitarie. Sempre gratuitamente.

I social sono cassa di risonanza e le immagini della Protezione civile, dei volontari, degli operatori del 118, sanitari, delle istituzioni, che hanno dovuto affrontare in prima linea il nemico subdolo, rimarranno impresse per molto tempo nella nostra memoria. Le polemiche per quel che si poteva fare e non è stato fatto, per ciò che si poteva evitare e non si è evitato, non mancheranno ma ci auguriamo che non possano oscurare quanto di positivo e di sociale nel senso pieno della parola c’è stato in questo momento della nostra vita.

Se ci sarà chi cerca tra le persone un nome, non lo troverà perché chi opera per gli altri spesso dimentica se stesso.

Tania Barcellona

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