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Quando la “pietas” diventa selettiva

di | 2019-04-21T06:44:51+02:00 21-4-2019 6:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

NAPOLI – Gli ultimi eventi di cronaca ci riportano ad interrogarci sul sentimento umano di provare pietas verso accadimenti che possono scuoterci emotivamente.

La controversia venuta fuori sui social, dopo l’incendio disastroso della Cattedrale parigina, si è incentrata su tutto questo moto, che ha scosso uomini e donne di tutto il globo rivolto alla distruzione di un simbolo di Parigi, ma che appartiene all’immaginario collettivo del genere umano.

La piattaforma social segue l’onda emotiva non ragionata o pilotata che in questo caso ha visto invadere i profili di immagini in diretta dell’incendio e immagini d’epoca o pittoriche di Notre Dame de Paris. La piattaforma si è spaccata tra chi ha provato sdegno verso tale mobilitazione che non ha trovato pari enfasi nei confronti di continui morti in mare per le migrazioni degli ultimi anni. Ma come si fa a paragonare o a misurare la pietà umana verso accadimenti, che non per proprio coinvolgimento diretto ci possono travolgere o meno emotivamente?

Un’opera d’arte è la massima espressione umana e simbolo della spiritualità che ha condotto l’uomo sin dalla sua origine a voler testimoniare la sua parte meno visibile: l’anima. Vedere sotto i propri occhi scomparire un segno delle proprie radici culturali è venir meno alla propria esistenza o quanto meno venir meno alla propria storia su questa terra. Sentirsi in colpa perché non si dimostri, alla stessa stregua, uno sconvolgimento emotivo per uomini che muoiono in mare per politiche scellerate di decenni che si perpetrano a discapito delle fasce deboli del nostro pianeta, è come doversi sentire in colpa ogni giorno, per essere, senza merito alcuno, nati in Occidente con già un carico di colpe trasmesse dall’operato dei potenti di questa parte del mondo. Allo steso modo va vilipesa la gente che piange per la morte di un proprio cane al confronto di un proprio caro? E perché non piangiamo la morte di un coinquilino dell’ultimo piano e invece siamo addolorati per il parente prossimo pure se magari arrivato al suo fine ciclo naturale di vita per età. Piangiamo l’assenza di chi o cosa ha avuto peso emotivo nella nostra vita perché in realtà si piange se stessi e più è vicino a noi il caro estinto e più ne siamo coinvolti.

Chi può determinare quale morte è più degna di coinvolgimento. Nella società di immagini come la nostra è sempre più difficile scuotere l’animo umano, ci assuefiamo alle immagini cruente, alle morti in mare, ai continui eccidi per religione che ancora persistono, a guerre, a dittature, a guerre tra faide di mafia, ma sono lontani da noi per cui non ci appartengono. Se in uno dei tanti attentati in Europa muore un cittadino italiano, allora la morte si rivela, la pietas si accende perché potevamo esserci noi. È nell’animo umano, nell’istinto di sopravvivenza nell’atroce “mors tua, vita mea”. Tutto ciò non è politicamente corretto: è crudo e cinico, ma reale.

Altra faccenda è la strumentalizzazione politica che si fa su questi eventi che detta una scaletta di valori dall’alto e si dirige su chi non vuole essere tacciato per “fuori dal coro”, su chi e in quale momento storico esaltare e compiangere la morte. La morte è come una livella, non distingue razze e origini, ma quando è ingiusta e causata da altri va sempre collettivamente compianta. Allo stesso modo non va nascosto il dolore per una perdita di un’opera d’arte o di una costruzione che costituisce memoria e radice, lo potrebbero raccontare bene i cittadini aquilani, che grazie ad una fiction di questi giorni, sono tornati alla luce: quanto dolore possa contenere la perdita, certo dei propri congiunti, ma anche della loro amata città storica, identità e valori che nessuna “new town” potrà mai ricompensare.

Nessuno si può erigere a depositario unico di umanità, a maggior ragione nessun gruppo politico e/o sociale può fare la morale al gruppo avverso o redigere i dettami morali o meno comportamentali.

Commuoversi pure per un fiore reciso è restare umani e non ci può essere una scala predefinita emotiva: l’importante è restare umani.

Angela Ristaldo

Nella foto di copertina, la Pietà di Michelangelo

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