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Nessun alunno si perde se si crede in lui

di | 2019-02-16T11:58:20+01:00 17-2-2019 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

ENNA – Gli insegnanti possono influenzare il destino dei loro alunni? Possono in altre parole determinarne il successo e l’insuccesso? La risposta è sì, secondo i più acclamati studi scientifici. A sostenerlo uno psicologo americano, Robert Rosenthal, che nel 1968 ha condotto un esperimento in collaborazione con Lenore Jacobson, preside di una scuola elementare di San Francisco nell’istituto scolastico gestito dalla Jacobson: hanno fatto credere ai docenti che un gruppo di alunni aveva raggiunto un punteggio superiore alla norma nei test di intelligenza. In realtà, gli insegnanti erano all’oscuro che i nominativi erano stati scelti casualmente senza relazione alcuna con i risultati del test. Mesi dopo, Rosenthal e Jacobson, come ipotizzato, verificarono che il rendimento scolastico degli alunni era superiore alla media. La spiegazione va ricercata in un fenomeno psicologico noto come Effetto Pigmalione: un insegnante che ritiene di trovarsi di fronte a studenti capaci agisce di conseguenza; è più empatico e sereno; crea un clima migliore per l’apprendimento e opera in modo tale che quelle stesse previsioni si autorealizzino.

Si verifica, in buona sostanza, la profezia che si autoavvera analogamente a quella accorsa al mitologico re di Cipro.
Ovidio nelle Metamorfosi racconta infatti del sovrano cipriota, Pigmalione, il quale scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a qualsiasi donna vivente e si innamorò della sua opera a tale punto da supplicare Venere di infondere vita alla statua. La dea, colpita dal sentimento profondo di quest’uomo, non poté che esaudirne il desiderio.

Gli studi di Rosenthal e Jacobson schiudono un universo psicologico enorme che riguarda i fattori che possono migliorare le prestazioni scolastiche di uno studente, a cominciare dall’atteggiamento degli insegnanti che, convinti di avere a che fare con individui superdotati, sono più propensi a dar loro maggiore cura e stimoli, creando le basi di un maggiore rendimento. I ragazzini, a loro volta percependo l’apprezzamento dei loro insegnanti, sono portati a dare il meglio di sé.

Albert Bandura definisce il meccanismo psicologico messo in atto da questi alunni con il termine di autoefficacia: se si è consapevoli di potercela fare, si incrementeranno gli sforzi per ottenere successo e sarà quindi più probabile raggiungere il traguardo. Viceversa, essere convinti della mediocrità delle proprie capacità non farà che scoraggiare gli sforzi e incrementare le probabilità di insuccesso. Il ruolo dell’insegnante è quindi determinante per infondere nei discenti la padronanza di sé e orientarli verso il successo scolastico. La stessa dinamica è replicabile anche nel contesto lavorativo: l’atteggiamento del “capo” verso i propri sottoposti influisce sulle prestazioni degli stessi.

Qualche tempo fa, è stato condotto un esperimento nell’arco di tre anni, dalla prima alla terza media, da un gruppo di docenti che ogni giorno entrano in classe con il sorriso, la valigetta piena di libri e buoni propositi. Ad attenderli c’è un Giovanni che ha il padre in galera e la madre che lavora di notte in un pub. Giovanni è intelligente, ha uno spiccato senso logico, ma non va bene a scuola: gli insegnanti comunque credono in lui. C’è pure Maria che viene a scuola un giorno sì e due no. Maria ha uno stuolo di sorelle più piccole, fa da baby sitter alle piccole mentre papà e mamma escono per sbarcare il lunario. Maria è bella, intelligente, scaltra abbastanza per avere successo con i ragazzi e nella vita. Non sa ancora le tabelline: gli insegnanti però credono in lei.
Rosario, invece, è un tipetto con lo sguardo vispo, parla poco, intuisce il teorema di Pitagora e conosce i principi elementari della fisica meglio di chiunque altro. Monta e smonta il motorino. Bivacca sul banco dalle 8 alle 13. Ogni mezz’ora chiede di andare in bagno. È intelligente ma legge ancora sillabando: gli insegnanti credono in lui. Angela è una ragazza dolce, studia molte ore, a casa papà l’aiuta a risolvere i problemi di geometria e la mamma le racconta molte storie. Angela purtroppo non riesce a perseguire i risultati sperati: gli insegnanti credono in lei.

Allora come si spiega questo strano effetto Pigmalione? Perché Giovanni, Maria, Rosario e Angela non investono energie per il loro successo scolastico, pur in presenza di insegnanti amorevoli e preparati? Forse i docenti non credono abbastanza in loro? Eppure durante i tre anni di esperimento, li hanno incoraggiati, hanno individualizzato l’apprendimento, predisposto un piano di recupero e potenziamento, hanno offerto stimoli, cure e persino carezze. Il successo scolastico, quello che si misura in voti, è purtroppo una metà ancora lontana. I ragazzini avranno imparato altro, magari ad avere fiducia in un adulto per metà giornata, magari hanno capito da soli che non ce la faranno, che studiare è un inutile perdita di tempo perché a fare il meccanico o la babysitter mica serve capire le leggi di Mendel o il pessimismo cosmico di Leopardi. Il pessimismo lo conoscono già: è la mancanza di speranza in un futuro migliore.
Gli insegnanti, nonostante tutto, credono in loro. Tanto. Sembra uno scenario apocalittico e, in parte, lo è. Un conto è l’esperimento in una scuola americana, con un campione ristretto di alunni per otto mesi; un conto è la vita scolastica quotidiana, con alunni veri, insegnanti in trincea, genitori invadenti o di contro assenti.

 

Dunque perché gli insegnanti falliscono? Perché i ragazzi falliscono? La psicologia spiega anche questo: senza un’adeguata motivazione intrinseca del soggetto che lo spinga in direzione del successo sia scolastico sia sociale, senza quella che un tempo veniva chiamata buona volontà, pur in presenza di un’intelligenza spiccata, poco può un padre, una madre o un docente.

Un docente, tuttavia, continua a credere che nessun alunno è perduto se ha un insegnante che crede in lui.

 

Tania Barcellona

 

Nella foto di copertina, alcuni punti dell’effetto Pigmalione

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