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Comunicazione, tutti sentono ma nessuno ascolta

di | 2020-01-12T07:02:08+01:00 12-1-2020 6:25|Attualità, Sezione 6|0 Commenti

VITERBO – Viviamo nell’era della comunicazione veloce, della comunicazione trasversale e frettolosa, trascorriamo molto tempo a contatto con gli altri (amici, parenti, colleghi),  ci capita di chiacchierare, discutere, raccontare ed ascoltare e siamo convinti di saper ascoltare l’altro senza la necessità di dover compiere uno sforzo di attenzione. Credere che l’ascolto sia semplice ed automatico si rivela molto spesso erroneo, il nostro ascolto è distratto da una sorta di rumore di fondo: le notifiche dei social, gli alert delle chat, i mille pensieri che si affastellano nella nostra mente e ci creano ansia. Il risultato, purtroppo, è che veniamo privati nostro malgrado di un dono indispensabile per il nostro benessere e per quello altrui: la capacità di ascoltare.

A volte la colpa di una cattiva comunicazione è da imputare ad un messaggio formulato male, carico di idee confuse o di pensieri indefiniti, altre volte siamo noi a peccare di superficialità sia nel parlare che nell’ascoltare. Nessuno ascolta più. La società ha letteralmente smesso di ascoltare, e non è una semplice constatazione, ma una vera e propria affermazione. Possiamo parlare come e quanto vogliamo, studiare tecniche di comunicazione, alzare la voce, catturare l’attenzione, gesticolare, ma ascoltare è una capacità che tutti abbiamo, eppure stentiamo a metterla in atto. Si preferisce essere protagonisti in prima persona e questo a discapito della mancanza di capacità di ascolto. Parliamo di un argomento e la voce del nostro interlocutore ci stoppa perché vuole dire subito la sua. O peggio ancora, una volta finito, risponde in modo vago, cambiando argomento, come se quanto detto non abbia prodotto nessuno stimolo in lui. Semplicemente, non ha ascoltato.

Succede in ogni ambito, fra colleghi, tra due partner, nei rapporti genitori/figli, per strada, a scuola, la stragrande maggioranza delle persone sente, ma non ascolta più. E se ascoltano, si tratta di brevi istanti poi la loro mente torna altrove. L’ascolto è una capacità, è un dono e come tale richiede l’uso non solo delle orecchie, ma soprattutto del cervello, per immagazzinare e decodificare tutto ciò che viene ascoltato. Il non ascoltare i nostri interlocutori fa si che ci si ritrovi in una società confusa, disordinata e disorientata, dove l’uso delle parole è smodato e spropositato, e questo perché c’è carenza di ascoltatori. Tutti hanno qualcosa da dire, hanno il bisogno, la necessità di parlare, ma, purtroppo, nessuno ha più l’arte di ascoltare. Siamo portati a parlare d’istinto, ad aprire la bocca senza avere la piena consapevolezza di ciò che stiamo davvero dicendo. Ed è questo il maggiore disastro di questa civiltà: non ci capiamo più, perché le parole sono troppe per quelle poche orecchie che sono ancora in grado di ascoltare. Il più delle volte ci limitiamo soltanto a “sentire” ciò che ci viene riferito.

C’è differenza fra ascoltare e sentire e il buon ascoltatore “non sente”, bensì ascolta con partecipazione. Ma una società che non ama ascoltare gli altri, dove può mai arrivare? Prendiamo come esempio i rapporti di coppia. In molti casi capita che tra i due non ci sia ascolto reciproco. Attenzione, non dialogo, ma ascolto. E questa mancanza di ascolto sfocia, inevitabilmente, nella separazione. O nello stare insieme separatamente. Perché nessun rapporto “sano” di coppia può continuare se non c’è un continuo ascolto reciproco. Eppure, succede altrettanto spesso, che dopo la separazione, uno dei due finalmente “capisce” l’altro. E a questo punto viene da chiedersi perché si sia resa necessaria la separazione per poter ascoltare? Succede per una ragione precisa: ascoltare è direttamente correlato con cambiare. Perché quando si ascolta per davvero (e non il solito sentire con le orecchie) in automatico si cambia, si mette in discussione se stessi e le proprie convinzioni che arrivano da chissà dove, si mette in ballo la propria vita per qualcosa da fare insieme, in coppia. Dopo l’ascolto, infatti, siamo portati a riconoscere le ragioni dell’altro, a vederle con i nostri occhi, e magari a ritenerle giuste. La mancanza di ascolto è, quindi, una naturale tendenza dell’ego che per sopravvivere fa resistenza al cambiamento.

Lo stesso accade spesso, troppo spesso, tra genitori e figli. Figli mai ascoltati. Un genitore chiede a un figlio quali siano i suoi problemi, il perché di certi comportamenti, ma in cuor suo non ha intenzione di ascoltare, il genitore ha già preso la sua decisione e poi agirà sulla base di ciò che pensava già prima di chiederglielo, ignorando la preziosa risposta del figlio. Nella stragrande maggioranza dei casi funziona troppo spesso così. Bisognerebbe correggere il tiro e ridare all’ascolto e al dialogo il loro ruolo naturale. Un ruolo che non equivale a quello di affermare i propri pregiudizi, ma di conoscere, capire e integrare la realtà che ci circonda. Pensare che la paura di ascoltare sia insita solo nel rapporto di coppia, o tra genitore e figlio, è un errore. Succede ovunque, a tutti i livelli. Succede che il medico non ne voglia sapere delle terapie alternative, quindi non ascolta per paura che da questo ascolto/cambiamento possa derivare la necessità di una revisione del suo metodo di lavoro e dei privilegi e del denaro che ha acquisito faticosamente con gli anni. Succede che lo studioso non si informi su studi che riguardano la sua materia, con punti di vista differenti, per paura di dover buttare al vento anni di studi che ha fatto e che potrebbero dimostrarsi sbagliati. Succede anche che la persona che sta soffrendo, per una qualsiasi ragione, decide di non ascoltare ragioni, consigli e quant’altro, per paura di perdere la propria sofferenza.

Questi sono esempi, per certi versi estremi, ma non troppo, per cercare di evidenziare come il problema che impedisce l’ascolto e la comprensione è, il più delle volte, quello centrale che da sempre attanaglia la ricerca spirituale: ovvero l’ego di ognuno con la sua resistenza al cambiamento. La gente non ascolta più per la paura di cambiare. Cambiare ed evolversi comporta rischi, comporta di dover uscire dalla zona di comfort, mettersi  in gioco e rivedere i propri concetti da un’ottica del tutto diversa. Ascoltare diventa, per queste persone, un vero e proprio rischio. Vale per il medico, così come per il nostro vicino di casa. La gente non ascolta più, e tutto ciò è tragicomico in un’epoca di comunicazione globale. Ma fateci caso di quante persone dialogano, in casa come in Tv, al bar come sui social, convinte di avere già la risposta a tutto. E una persona che è convinta di sapere già tutto, non è interessata a conoscere un altro punto di vista o analizzare altre informazioni. Da qui nasce poi l’incapacità, successiva, di ascoltare. Le persone non hanno mai fatto così fatica a capirsi fra loro come nei tempi attuali.

Oggi è raro trovare qualcuno che dica “Sì, la tua argomentazione mi ha convinto, cambio idea”, oppure semplicemente “Ne prendo atto”. La stragrande maggioranza delle persone resta convinta di quello che pensa, della loro posizione preventiva, del loro pregiudizio, come se quello che l’altro dice non contasse nulla. E paradossalmente, il vero aspetto tragicomico sta ne fatto che se anche l’interlocutore fa la stessa cosa, l’incomunicabilità è l’unico risultato che può esserci, un’incomunicabilità dettata, in realtà, da due monologhi che viaggiano paralleli, ignorandosi l’un l’altro. Senza accorgersi che nelle risposte dell’altro potrebbe esserci un intero mondo da scoprire e delle interessanti novità da integrare. E non coglierle equivale a smettere di evolvere. Fattori di natura cognitiva, emotiva e relazionale diminuiscono la nostra capacità di ascoltare veramente l’altro e comprendere pienamente quello che vuole comunicarci. L’ascolto vero implica una partecipazione attiva e un interesse reale per colui che parla e per le sue parole.

Adele Paglialunga

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