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“Nei giardini che nessuno sa”, struggente inno alla fragilità

di | 2020-09-11T12:46:44+02:00 13-9-2020 6:20|Sezione 5, Spettacolo|2 Comments

VITERBO – Una canzone struggente, che commuove. Bella nella sua drammaticità. Una vera e propria poesia messa in musica. “Nei giardini che nessuno sa” viene considerata da molti come la composizione più emozionante di Renato Zero, dedicata dall’artista romano a tutte quelle persone sole e fragili, anziane o con disabilità, ma soprattutto anime tristi con un immenso bisogno d’affetto. Nel toccante finale poi il brano si rivolge direttamente a coloro che, senza nessun sentimento, ignorano questi esseri umani sofferenti, fingendo di non percepire il loro disagio, la loro solitudine e la malinconia che li accompagna, portandogli via gli ultimi sogni di speranza.

L’intensità del brano, contenuto nell’album “L’imperfetto” pubblicato a fine agosto 1994, entra subito nel vivo già dalle prime parole del testo, nelle quali Renato Zero descrive, con limpido acume, le sensazioni emotive ed il gelo vitale degli individui più deboli e la mancanza di affetti con la quale sono costretti a convivere, senza alcuna felicità, mentre la vita, inesorabilmente scivola via, non lasciando più nemmeno il coraggio di piangere, e testualmente l’incipit recita così: “Senti quella pelle ruvida, un gran freddo dentro l’anima, fa fatica anche una lacrima a scendere giù. Troppe attese dietro l’angolo, gioie che non ti appartengono, questo tempo inconciliabile gioca contro di te”. E rimangono così, tristemente soli in attesa di qualcosa che non avverrà, aspettando con pazienza persone e affetti che invece non verranno mai a portare un po’ di serenità, ripensando alle rinunce fatte, sentendo dentro l’anima le uniche cose che gli sono costantemente accanto, la solitudine e la depressione: “Ecco come si finisce poi, inchiodati a una finestra noi, spettatori malinconici di felicità impossibili; tanti viaggi rimandati e già, valigie vuote da un’eternità, quel dolore che non sai cos’è, solo lui non ti abbandonerà, mai”.

Poi un passaggio per sottolineare che a volte la vita sfugge troppo velocemente e che non ci potranno essere situazioni o eventi particolari per rallentarne la corsa: “È un rifugio quel malessere, troppa fretta nel tuo crescere, non si fanno più miracoli, adesso non più, non dar retta a quelle bambole, non toccare quelle pillole, quella suora ha un bel carattere, ci sa fare con le anime”. Incalzante e coinvolgente il ritornello con il quale Renato Zero esprime il suo straordinario messaggio d’amore verso le persone più deboli. Parole semplici ma di notevole valore, scritte con la sensibilità che solo chi prova tali sentimenti può immaginare, manifestando la volontà di offrirsi simbolicamente agli altri e riuscendo a liberarli da tutto il disagio della malinconia, regalandogli inoltre la cosa più importante che sia possibile donare: se stessi. “Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi, l’energia l’allegria per strapparti ancora sorrisi, dirti sì, sempre sì e riuscire a farti volare, dove vuoi, dove sai senza più quel peso sul cuore”.

La strofa prosegue nella sua intensità, in un crescendo di sentimenti che manifestano verso le persone più bisognose d’affetto, un senso di affettuosa tenerezza e di premura: “Nasconderti le nuvole, quell’inverno che ti fa male, curarti le ferite e poi qualche dente in più per mangiare e poi vederti ridere e poi vederti correre ancora”. Ma nonostante l’appassionata dedica del cantante romano c’è sempre qualcuno che preso dalla frenesia della propria quotidianità e incurante delle sofferenze di chi gli è stato sentimentalmente vicino: “Dimentica, c’è chi dimentica, distrattamente un fiore una domenica. E poi silenzi …e poi silenzi. Silenzi”. La canzone continua ricordando che nei luoghi dove dimorano le anime più fragili e malate, le persone anziane e sole, il susseguirsi dei giorni è identico, monotono, quasi insignificante: “Nei giardini che nessuno sa, si respira l’inutilità, c’è rispetto e grande pulizia, quasi follia”. Mentre invece basterebbe poco, piccoli gesti, e le cose potrebbero andare diversamente: “Non sai com’è bello stringerti, ritrovarsi qui a difenderti, e vestirti e pettinarti si e sussurrarti non arrenderti. Nei giardini che nessuno sa, quanta vita si trascina qua, solo acciacchi piccole anemie, siamo niente senza fantasie”.

Il brano in un crescendo di emozioni volge al termine con il disperato e accorato appello di Renato Zero rivolto a chi potrebbe aiutare senza troppa fatica con semplici gesti, sensibili e affettuosi: “Sorreggili, aiutali, ti prego non lasciarli cadere. Esili, fragili, non negargli un po’ del tuo amore. Stelle che ora tacciono ma daranno un senso a quel cielo. Gli uomini non brillano se non sono stelle anche loro”. E si conclude infine con un messaggio ancora più forte e veemente, quasi disperato, rivolto a chiunque potrebbe fare di più e invece non lo fa: “Mani che ora tremano perché il vento soffia più forte, non lasciarli adesso no, che non li sorprenda la morte; siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo. Dimentica, c’è chi dimentica distrattamente un fiore una domenica. E poi silenzi … e poi silenzi. Silenzi”.

Tutta la grandezza e la partecipazione emotiva di Renato Zero che in questo brano riesce a dare maggior senso pratico esponendosi in prima persona, come è solito fare nel rispetto del suo modo di essere. Infatti non deve sfuggire la capacità dell’autore di immedesimarsi prima in un contesto: “ecco come si finisce poi, inchiodati a una finestra noi” e poi nell’altro: “siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo”. Sta a noi, solo a noi e al nostro modo di agire, ricordarci un fiore una domenica, evitando così alle persone sole e in difficoltà i lunghi e pesanti silenzi nell’anima.

Paolo Paglialunga

2 Commenti

  1. Roberta 13 settembre 2020 at 11:43 - Reply

    Oggi è domenica è festa e invece caro Paolo mi hai fatto piangere….Il Grandissimo Renato che la mia dolcissima nonna Maria adorava …e come io adoro anche oggi….
    Questo canto poesia mi riporta ai bei ricordi con lei…ai suoi insegnamenti a quella sensibilità, forse esagerata, con cui sono cresciuta e mi ritrovo a convivere….
    non c’è rimpianto nei miei lacrimoni…ma nostalgia di un amore incondizionato che nella sua dipartita ha lasciato dentro di me un temporaneo vuoto di potermi dedicare a lei…
    Oggi le parole di Renato mi ricordano chi sono e dipingono quel mondo meraviglioso dei sogni dive nessuno sarebbe cosi solo e triste se tutti altissimo di più gli occhi
    Grazie Paolo

  2. Barbara 13 settembre 2020 at 19:08 - Reply

    Immensa Poesia dedicata in primis alla sua Mamma….
    E a tutte le persone grandi e..sole.
    Hai fatto bene a ricordarci queste parole.
    Barbara

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