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Tra Sicilia, sicilianità e “isolitudine”

di | 2018-01-26T12:29:41+01:00 27-12-2017 14:48|Personaggi, Sezione 5|2 Comments

AGRIGENTO – La Sicilia è un’isola. Lo dice la geografia. La Sicilia è un’isola anche dal punto di vista sociale, culturale e antropologico. Una terra sempre considerata povera, arretrata, di vita grama, dove la mafia ha preso il posto dello Stato, anzi essa stessa ha svolto il ruolo di Stato/Antistato. Una Sicilia schiava delle visioni di scrittori e registi che ne “esaltavano” l’arcana sicilianità, fatta di senso dell’onore, omertà, diffidenza nei confronti dello “straniero”, dove lo stesso paesaggio descrive il carattere fondante del siciliano tipo. Una terra dove il gelsomino d’Arabia fiorisce insieme ai fichi d’India, dove le lupare cantano spesso una musica mortale. Basti pensare a film come “Divorzio all’italiana”, “In nome della legge” e “Sedotta e abbandonata” del piemontese Pietro Germi, al capolavoro di Luchino Visconti “Il gattopardo”, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dove la filosofia-principe è quella del “bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com’è”. Una sorta di metafisica dell’essere siciliano. Tutto è immutabile, irredimibile, senza possibilità di cambiamento. Letteratura e cinema esaltano questa concezione in una specie di “morfologia della fiaba” siciliana, che viene dettata dalla mafia, centro e misura di ogni cosa. Come scrive Savatteri in “Non c’è più la Sicilia di una volta”, nella struttura narrativa di una storia c’è il boss, la vittima, il vile, l’eroe. Non c’è, spesso, il lieto fine, anzi la tragedia è sempre sospesa sull’aria rarefatta delle città siciliane. Un’afa mortale. Ma la Sicilia è davvero un’isola? Un luogo dove esiste un gruppo etnico compatto per razza e costumi, mentalità e cultura?

Gesualdo Bufalino, grande scrittore siciliano, sosteneva che in Sicilia tutto è dispari, mischiato, cangiante, come nel più ibrido dei continenti. Le Sicilie sono tante, varie, diverse: vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è la Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Una Sicilia pigra e una lavoratrice. Tutto, qui, può essere “fiamma e fumo nero”. Tutto permane e tutto diviene. Non c’è più la Sicilia di una volta, grida, stizzito, il giornalista/ scrittore Gaetano Savatteri.

Di queste tematiche si parlar con il sociologo Francesco Pira, nativo di Licata, professore di comunicazione e giornalismo presso il Dipartimento di civiltà antiche e moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è coordinatore didattico del Master in “Manager della Comunicazione Pubblica”. Insegna anche Comunicazione pubblica e d’impresa presso lo IUSVE, l’Università Salesiana di Venezia e Verona. Svolge attività di ricerca nell’ambito della sociologia dei processi culturali e comunicativi. Saggista e giornalista è autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche. Nel 2010 e nel 2011 è stato coordinatore scientifico e moderatore dell’International Communication Summit che ha visto la presenza di Alastair Campbell, ex portavoce di Tony Blair, e di Zygmunt Bauman, uno dei più noti sociologi e influenti pensatori contemporanei. Prima di intraprendere la sua carriera accademica ha scritto per tanti anni in Sicilia per i principali quotidiani e collaborato con la Rai e con emittenti regionali.

Professor Pira la Sicilia è stata, spesso, rappresentata in modo monolitico, secondo stereotipi volti a categorizzare la “sicilianità”, la “sicilitudine” o “l’isolitudine”? Cosa ne pensa?

“Questa domanda mi fa pensare a tutte le volte che all’estero mi hanno chiesto da quale parte dell’Italia venivo. E, quando orgogliosamente rispondevo Sicilia l’abbinamento era ed è quasi sempre automatico: mafia. Una volta, da giovane giornalista andai in Iraq per fare un reportage per la tv nazionale VideoMusic dove lavoravo. Un uomo di fiducia di Saddam mi disse: ‘Sicilia? Mafia e Schillaci’. Per fortuna le glorie calcistiche del goleador Totò avevano dimezzato quell’idea che tutti in fondo siamo un po’ mafiosi. Ho lavorato in diverse regioni del Nord Italia. Tutte le mattine devi alzarti e dimostrare che non sei mafioso, poi che non hai rubato un posto di lavoro, poi che non sei raccomandato ed infine che non sei fannullone. La nostra meravigliosa terra ricca di storia dove sono nati uomini eccellenti nel mondo viene percepita come la terra del Padrino, di Riina e di Provenzano. Non come la terra di Pirandello, Bufalino, Buttitta, Sciascia, Guttuso, Quasimodo. Giusto per citarne alcuni. E di questi due sono premi Nobel. Penso che sia colpa anche nostra. Per parafrasare Edoardo Bennato da tempo ripeto che noi siamo l’Isola che c’è. L’Isola che non si vede, che trama, che comanda, che decide è molto forte e pericolosa”.

Quale immagine della Sicilia emerge dalle fiction o dai romanzi moderni, ma anche dalle inchieste giornalistiche?

“Basta guardarli. Spettacolarizzazione del male, in tutte le sue forme. ‘Vetrinizzazione’ delle ambiguità della Sicilia che rivendica la sua storia e la sua geografia, ma che non riesce a togliersi questo velo misto di mafiosità e di omertà. Anche il cinema di oggi restituisce un’immagine terribile: il film di Ficarra e Picone ‘L’ora legale’ può far ridere. Ma la Sicilia e i siciliani ne escono a pezzi. Fiction e cronaca ogni giorno ci fanno vedere il peggio. Del resto gli ascolti delle fiction su Canale 5 sono altissimi: qualunque trasmissione sull’altra Sicilia, quella degli onesti sarebbe un flop”.

Gaetano Savatteri sostiene, in maniera molto provocatoria, che non esiste più la Sicilia di una volta: forse ne esistono troppe o non esiste proprio più, almeno come isola staccata dal contesto sociale e culturale e italiano. E’ d’accordo?

“Sono amico di Gaetano da quando eravamo ragazzi con la voglia di diventare giornalisti. Condivido tutto quello che dice e che scrive. Eccezionale come giornalista, eccellente come scrittore. La Sicilia di oggi è un’altra in tutto: ha ragione. I valori di ieri non sono quelli di oggi. Tutto è cambiato. Le isole hanno il privilegio e la sventura di essere isole. La nostra poi è un’isola dove tutto è terribilmente viscerale. Noi alterniamo passione a disperazione. Sottomissione a manie espansionistiche”.

La Sicilia e la mafia. Un rapporto sempre stretto, quasi indissolubile legame. Ma è davvero così indissolubile?

“Mi sento piccolo davanti a questa domanda così immensa. Per decenni studiosi, giornalisti, giudici, avvocati, sindacalisti, medici, persone comuni hanno cercato di rispondere. In tanti hanno perso la vita. Altri hanno scelto la strada della collusione e della sottomissione. La mafia è nata, cresciuta e pasciuta in Sicilia. Poi è stata anche esportata. Ma non mi preoccupa soltanto la mafia, ma come la chiamava Gesualdo Bufalino, la mafiosità. Quella voglia di prevaricare. Di passare avanti, di vincere senza merito. Chi sgomita senza nemmeno rendersene conto. Mi preoccupa anche chi si è costruito carriere personali sulla cosiddetta antimafia. E negli anni questi soggetti si sono moltiplicati. Hanno fatto brillanti carriere infamando, distruggendo chi non era comodo per i loro progetti. E’ terribile quanto è successo nella nostra Sicilia. Ma Pirandello come Sciascia l’aveva previsto. Con tanto anticipo. Anni fa ho conosciuto a Milano, a casa di Franco Battiato, il filosofo Manlio Sgalambro. Un uomo immenso e non soltanto per la collaborazione con Battiato. Sosteneva: ‘A me dà fastidio chi parla male della Sicilia, ma ne parla male perché il giudizio non è tale, è mal motivato, è piuttosto un qualcosa di non corrisposto, un risentimento’. Penso che aveva un pizzico di ragione. Ho sentito raccontare sulla Sicilia cose inesistenti da persone qualificate. Fa male. Molto male”.

Giovanni Falcone ha detto che la mafia è un fenomeno storico: ha avuto un’origine e avrà anche una fine. Sarà possibile questo?

“Non ho mai avuto la possibilità di conoscere il giudice Giovanni Falcone. Ho intervistato però Antonino Caponnetto, capo del Pool Antimafia a Palermo, e il giudice Paolo Borsellino. Due di loro sono morti per mano della mafia. E anche questi due atti vili, queste stragi, sono storia della Sicilia e dell’Italia. Sulla fine non sarei così ottimista. Sono un sociologo dei media e ho studiato la nuova comunicazione di Cosa Nostra. In un articolo scientifico pubblicato in un libro fresco di stampa curato da due giovani colleghi Antonia Cava e Sebastiano Nucera ‘Decodifiche Criminali’ affronto questo delicato tema. Insieme al collega Andrea Altienier abbiamo cercato di documentare come nella fase più acuta della contrapposizione tra Stato e organizzazioni criminali, la strategia mafiosa abbia fatto ricorso ad azioni che sono diventate rappresentazione mediale tesa ad instillare paura e incertezza nel cittadino e a mostrare la forza e la capacità di controllo del territorio. La criminalità organizzata di stampo mafioso ha saputo poi individuare gli spazi per insinuarsi nel tessuto sociale italiano sfruttando la crescente debolezza delle istituzioni e l’aumento di sfiducia nei loro confronti che gli italiani mostrano. A questa sfiducia fa da contrappeso una società che si mostra nei comportamenti individuali sempre meno rispettosa delle regole, con un minor senso civico”.

Ogni siciliano è, secondo alcuni scrittori siciliani come Bufalino, una irripetibile ambiguità psicologica e morale, Così come l’isola tutta è una mescolanza di lutto e luce. Spesso passiamo dall’esaltazione dell’essere siciliani all’autodenigrazione. Che ne pensa?

“Sono un siciliano che ama la Sicilia con tutte le sue contraddizioni. Sono un siciliano che pur avendo lavorato in più parti d’Italia ha scelto di tornare in Sicilia perché è convinto di poter dare un modestissimo contributo. Proprio con Gaetano Savatteri siamo stati relatori di un convegno dove abbiamo parlato della Sicilia e della mafia, insieme ad un paio di parlamentari ed un magistrato. Era organizzato da una Associazione femminile che si chiama Valori & Libertà. E se il nome dell’Associazione era più che mai azzeccato lo era altrettanto il titolo del convegno: ‘Il Lato Giusto’. Mi chiedo e le chiedo quanti siciliani sono pronti a stare lì nel ‘Lato Giusto’. Quanti sono pronti a rinunciare a privilegi, prebende, raccomandazioni, accordi, sotterfugi, violenze, prevaricazioni e morte. Quanti vogliono vedere la luce e tenerla accesa per sempre contro ogni mafia o mafiosità. E’ la domanda che mi pongo tutti i giorni e non sempre riesco a darmi una risposta. Un grande sociologo, di cui ho letto e studiato tutto, Zygmunt Bauman, ci ha lasciato in eredita questa massima: ‘Il vero problema dell’attuale stato della nostra civiltà è che abbiamo smesso di farci delle domande’. Non possiamo smettere di farci delle domande. Ma dobbiamo anche cercare le risposte, non sempre dagli altri, anche dentro di noi. Non mi sento sconfitto. Non perdo le speranze. Perché amo la Sicilia, lo ripeto, e l’amerò per sempre. Le confesso che da giornalista ho rischiato parecchio a fare cronaca. Ed ho avuto paura. Molta. Racconto sempre la mia intervista al giudice Borsellino: gli chiesi se aveva paura di ritornare a Palermo. Mi rispose di sì. E ne aveva tutte le ragioni. Sentiva il fiato dei suoi carnefici sul collo dopo la morte di Giovanni Falcone. E’ questa la Sicilia. Noi siciliani l’amiamo più di noi stessi. Il grandissimo Renato Guttuso ripeteva: ‘Anche se dipingo una mela c’è la Sicilia’. Noi siamo così. Prendere o lasciare”.

2 Commenti

  1. Rosita Orlandi 16 gennaio 2018 at 11:34 - Reply

    Bella, veramente bella questa intervista. Da leggere, per poi rileggerla e riflettere. Complimenti sinceri

  2. valeria milan 8 febbraio 2018 at 14:25 - Reply

    Bell’articolo, e come ogni articolo , canzone, poesia ,romanzo o film che parla della Sicilia ti lascia la nostalgia dentro perché la nostra potrebbe essere la terra più bella del mondo e l’amarezza, invece, di come essa è veramente nella realtà.

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