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Mister Trump, ridacci la nostra Biga

di | 2019-04-26T11:46:49+02:00 28-4-2019 6:00|Arte, Attualità, Sezione 1|0 Commenti

PERUGIA – Sarà la volta buona? Lo Stato italiano sta valutando la possibilità di chiedere ufficialmente agli USA la restituzione della Biga di Monteleone, lo splendido cocchio da parata risalente al VI secolo a.C., che fu scoperto nel 1902 a Monteleone di Spoleto dal contadino Isidoro Vannozzi (che la cedette quasi subito ad un italiano per 900 lire e una fornitura di coppi e tegole per coprire il tetto del proprio cascinale) e poi, dopo alcuni passaggi, finito al Metropolitan Museum di New York.

Gli ultimi studi hanno riproposto la tesi che si trattò di una vendita illegale consumata in violazione delle leggi in vigore nell’allora Regno d’Italia. Tra l’altro, degli studiosi hanno ritrovato tutta una serie di missive che lasciano ritenere che i vertici del Metropolitan, all’epoca e dopo, fossero bene a conoscenza della natura illecita della transazione.

Già diversi lustri fa il Comune di Monteleone di Spoleto aveva inoltrato agli Stati Uniti una formale richiesta di restituzione rimasta inevasa. Ma adesso potrebbe essere il Ministero dei Beni Culturali a muoversi tanto che in una comunicazione ufficiale, proprio il MiBAC ha reso noto come, durante una riunione del Comitato per il recupero e la restituzione delle Opere Trafugate, tenutasi lo scorso mercoledì 10 aprile, alla presenza del ministro Alberto Bonisoli, sia stata affrontata pure la questione della Biga di Monteleone. Il Comitato è impegnato  ad approfondire l’analisi del quadro normativo per decidere se inviare agli USA una ufficiale richiesta di restituzione.

L’anno scorso, sulla scorta del libro di Guglielmo Berattino (‘’La Biga etrusca di Monteleone di Spoleto”) in cui vengono presentate sedici lettere ritrovate per pura casualità nella biblioteca di Ivrea, risultò in modo indiscutibile che la Biga fu venduta il 14 aprile del 1903 al Metropolitan Museum dall’antiquario di Roma Ortensio Vitalini con l’intermediazione del generale Luigi Palma di Cesnola. Dalle missive risulta la non buonafede delle parti che sono perfettamente a conoscenza di operare illegalmente con l’intento di eludere le leggi italiane, già vigenti nei primi del ‘900, le quali vietavano la cessione dei beni artistici all’estero. Nel suo lavoro di ricerca, Berattino si sofferma sulla figura e sul ruolo avuto nella vendita della Biga dal generale e conte di Rivarolo Canavese Luigi Palma di Cesnola (1832-1904), tra i fondatori del Metropolitan Museum di New York, di cui fu anche direttore fino alla morte. Il Met, all’epoca, era in fase di lancio e intendeva porsi in competizione col più famoso museo del Louvre di Parigi.

“Il Metropolitan – racconta Berattino – venne in maniera rocambolesca  in possesso dell’importante reperto, dissotterrato da un agricoltore di Monteleone di Spoleto e ben presto volatilizzatosi oltre i confini nazionali, proprio grazie all’intraprendenza dello stesso Palma di Cesnola. Personaggio molto conosciuto tanto che in diversi centri del Canavese (e anche al di fuori del suo territorio) sono intitolate al suo nome numerose vie, piazze, targhe, associazioni e così via”. Il conte, naturalizzato americano e con la passione dell’archeologia, prese parte anche alla Guerra di Secessione (1861-1865) ed ottenne per la sua audacia la “Medal of Honor”, la più alta decorazione militare assegnata dal governo degli Stati Uniti.

Fotocopie delle 16 lettere autenticate vennero consegnata da Berattino al sindaco di Monteleone Marisa Angelini per poter mettere agli atti il carteggio che testimonia la non limpidezza nell’acquisto del “Golden chariot” (come lo chiamano al Met). “Nel caso di un oggetto prezioso come la nostra Biga, le ragioni del cuore devono valere di più di quelle legali – sostenne la Angelini -. Per gli americani la Biga è una grande vetrina da esporre, per noi  ha il valore della nostra storia, è la ricerca delle nostre radici. Qui la Biga ha un  senso, lì è solo una esposizione”. Le copie delle lettere vennero inviate all’avvocato statunitense, ma di origine italiana, Tito Mazzetta di Atlanta, che segue dagli inizi del 2000 la complessa vicenda.

“Il Metropolitan Museum non ha alcuna intenzione di restituire questo splendido pezzo”. E’ quanto la responsabile dell’ufficio comunicazione del famoso museo di New York, rispose seccamente un lustro fa alla giornalista perugina Donatella Binaglia (che ottenne l’autorizzazione, insieme a Alessandro Scarpanti, di fotografare e filmare la sala e i vari reperti) andata in visita, nella sua qualità di direttore del mensile “Umbriabest”, nella Grande Mela proprio per fare il punto sulla diatriba tra il Metropolitan ed il piccolo ma combattivo Comune della Valnerina.

Al Metropolitan per motivare il loro rifiuto sostennero (e continuano ad affermare) che la Biga sarebbe stata acquistata “regolarmente”. In realtà lo splendido pezzo di archeologia venne trafugato, come testimonia il fatto che venne espatriato di nascosto dall’Italia e che venne smontato, suddiviso in pezzi e posta in mezzo a barili di cereali per trasportarlo al di là dell’Oceano. Se tutto fosse avvenuto alla luce del sole, il banchiere JP Morgan non avrebbe usato tutti questi sotterfugi per trasferire il reperto negli Usa (e per donarlo, poi, al Metropolitan). Senza contare il particolare che lo stesso parlamento italiano affrontò all’epoca (la tomba a tumulo di Colle del Capitano venne scoperta nel 1902) una vibrante e accesa discussione in aula sulla sparizione della biga dal suolo italiano.

Alla ventilata “regolarità” dell’acquisto i newyorkesi aggiungono un’altra motivazione davvero di alcun peso ed anzi persino risibile. E che cioè a New York la Biga è visitata da circa 3 milioni di amanti dell’arte ogni anno, cifra che sarebbe del tutto “utopistica” se l’opera d’arte venisse ospitata nel paesino umbro. Bene replicò, a questa argomentazione, Nando Durastanti, allora sindaco di Monteleone, con lapidaria lucidità: “Con questa logica dovremmo consegnare agli Stati Uniti tutti i nostri migliori pezzi…”. O meglio ancora affidarli alla Cina e all’India, che potendo contare su più di un miliardo di abitanti, vantano un bacino di utenza persino più alto di quello degli USA…

Che il reperto etrusco sia un pezzo importantissimo di richiamo turistico e culturale lo sottolinea il fatto stesso che il Metropolitan gli abbia dedicato una intera sala dove troneggia in posizione davvero regale, dopo essere stato ricostruito e perfettamente restaurato e dove, tutto intorno, sono stati sistemati gli altri reperti (strumenti e vasellame, tra cui due coppe datate 530 a.C.) ritrovati nella stessa tomba, insieme ai resto di un uomo e di una donna. Non solo: la guida audio, consegnata ai visitatori, dedica addirittura sei minuti alla descrizione della Biga e degli altri reperti custoditi ed esposti.

Un ignoto artista ha rappresentato sui pannelli di bronzo dorato del cocchio l’intero mito d’Achille, testimoniando così di conoscere in maniera approfondita e di padroneggiare la cultura greca o jonica. Monteleone forte del suo buon diritto non solo iniziò una causa negli Usa, ma presentò pure una denuncia penale alla procura della Repubblica contro il ministero dei Beni culturali italiano per non aver richiesto indietro il carro. Se davvero lo Stato italiano deciderà di muoversi ufficialmente, le speranze di riportare in Umbria la Biga si farebbero davvero molto più concrete.

Elio Clero Bertoldi

Nella foto di copertina, la Biga di Monteleone di Spoleto esposta al Metropolitan Museum di New York

 

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