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La “remigina” Maruzza e la maestra Margherita

di | 2019-09-16T17:28:21+02:00 15-9-2019 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

PALERMO – Maruzza, nei lontani anni ’60 del secolo scorso, era una “remigina”: “remigini” erano infatti appellati i bambini in procinto di iniziare la prima elementare. Prima del 1977, anno di approvazione della legge 517, in tutte le regioni italiane l’inizio dell’anno scolastico era fissato per il 1° ottobre, giorno in cui si festeggiava san Remigio, arcivescovo di Reims: proprio da questa ricorrenza ebbe origine l’usanza, oggi abbandonata, di soprannominare gli alunni della prima elementare “remigini”.

Il primo giorno di scuola rimase impresso nei ricordi di Maruzza per il sorriso della maestra Margherita, severo e gentile insieme; le ore di lezione furono per la bimba col grembiulino blu una sorta di semplice ripetizione, poiché papà le aveva insegnato a leggere e a scrivere già da un anno. Grazie alla premurosa ed efficace alfabetizzazione paterna, da allora in poi alla bimba nessun compito scolastico sarebbe sembrato troppo difficile.

Fu invece più duro il primo giorno di scuola in seconda elementare, con la nuova maestra e le diverse compagne, nel nuovo paese dove la mamma, ufficiale postale, era stata trasferita: la bimbetta, guardando il cielo dalla finestra della sua aula, sentiva un’acuta tristezza per la mancanza della sua vecchia casa e per l’assenza della maestra Margherita e dei volti delle compagne. Per qualche tempo ebbe il timore di annegare nel mare scuro della nostalgia, ma il suono della campanella la trovò più serena: lo studio di una poesia l’aveva completamente assorbita. Da allora, la bimba imparò che i libri e la scuola possono essere un faro che illumina e consola, nella navigazione della vita.

E per Maruzza fu indimenticabile anche l’ingresso in prima media, in un prestigioso istituto di quella che era ormai la sua grande e maestosa città: in quell’occasione, a soli 10 anni, consumò il suo primo atto di rottura con il background familiare: anziché il francese, che piaceva a mamma e a papà, scelse di studiare l’inglese: come avrebbe fatto altrimenti a pronunciare e a capire i testi delle canzoni dei Beatles?

E, dopo la terza media, venne il momento delle scelte importanti: la frequenza del liceo classico, con la sua alta valenza formativa. E lì Maruzza, ormai diventata Maria, ebbe allora una delle fortune più importanti della sua vita: l’incontro con insegnanti appassionati, accoglienti e assai preparati. Al ginnasio, la professoressa Dina Di Vita che, quando spiegava, era capace di tessere uno sguardo a 360 gradi sul mondo.  Fu lei a offrirle in prestito i libri della sua biblioteca personale e Maria potè leggere, a 15 anni, Graham Green, Steinbeck, Piasecki, la Pearl’s Book, Hemingway, Yasunari Kawabata, oltre a Calvino, Fenoglio, Cassola, Pratolini, Bassani, Buzzati, Moravia…

E, il primo giorno al liceo, ci fu l’incontro con la straordinaria dolcezza e l’amore per la filosofia della professoressa Letizia Zincone. E poi le lezioni di italiano di quel mostro sacro del prof. Vito Biondo, che, assieme alla letteratura italiana, assegnava la lettura di Shakespeare e dava preziose chiavi di lettura per capire la storia e la politica.

Grazie al loro esempio, Maria decise che era giusto tornarci, da grande, sui banchi di scuola. Questa volta come docente. Perché aveva davvero ragione don Milani: “Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo vi aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti”.

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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