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Mané, campione di calcio e solidarietà

di | 2021-04-16T18:17:06+02:00 18-4-2021 6:00|Personaggi, Sezione 1, Sport|0 Commenti

PERUGIA – Non lo conoscono neppure tutti gli appassionati di calcio. Non quanto, almeno, i nomi incensati dei più altisonanti campioni dell’universo pallonaro, dove spesso, troppo di frequente, gli zoom delle telecamere e le pagine dei giornali indugiano su personaggi dediti alle futilità della vita, capricciosi, pieni di tatuaggi (lui sottolinea di non averne “neanche uno”), immersi in una società patinata e falsa, quando non si rivelano schiavi della droga o dell’alcol. Sadio è un tipo “sui generis“ e non solo perché è nato in Africa, nel Senegal ed ha vissuto l’infanzia e parte della giovinezza in estrema povertà ed in mezzo ai pericoli di una sanguinosa guerra. E’ un campione, guadagna moltissimo (l’ultimo contratto che scadrà nel 2023 prevede 5 milioni e 200 mila sterline l’anno, meno comunque dei suoi compagni di squadra Salah e Firmino), ma è anche, e soprattutto, un uomo dal cuore d’oro.

Conduce una vita sobria: non possiede auto, non risiede in una megavilla (abita in un appartamento nel centro di Liverpool), non compare in pubblico al fianco di “veline”, non si diletta con i giochini elettronici, se vede il magazziniere con troppi borsoni gli offre una mano, lava addirittura, con lo straccio ed il secchio dell’acqua, il pavimento della moschea che frequenta, perché si dichiara “un fedele musulmano”. “Quando ero piccolo – ha confidato – ho sofferto la fame e sono stato costretto a lavorare nei campi. A calcio giocavo a piedi nudi. E non ho potuto studiare”. I suoi genitori, con molti figli, lo avevano affidato ad uno zio. Fu quest’ultimo che lo accompagnò, quando si rese conto che il ragazzino abituato a dar calci al pallone nella polvere delle strade, vantava mezzi calcistici significativi, prima a Sédhiou e poi nella capitale, Dakar. Qui venne ospitato, grazie ai risparmi messi insieme dallo zio, dai familiari e da alcuni compaesani, in una famiglia a lui del tutto sconosciuta. Che però lo prese a benvolere e facilitò il suo sogno di diventare un calciatore.

Saido Mané – questo il suo nome – ha festeggiato pochi giorni fa il suo compleanno numero 29: è nato infatti il 10 aprile 1992 in un villaggio nei pressi di Sèdhiou in una casa ed in un ambiente di povera gente. Lui stesso ha rivelato che quando si presentò al primo provino lo guardarono con un certo distacco perché indossava maglietta e pantaloncini consunti e laceri e scarpe, anzi stivaletti, molto vecchi e consumati. “E’ quanto di meglio ho potuto trovare…”, si giustificò. Ma quando il selezionatore lo vide in azione, lo tesserò immediatamente e lo iscrisse all’accademia della società calcistica più famosa della capitale. Saido e gli altri prescelti erano stati battezzati con l’etichetta di “Generation foot”. Fin da allora, pur ancora minorenne, il ragazzo presentava infatti doti naturali di tecnica, velocità, dribbling da attaccante di razza.

Fu in quel periodo che venne notato dagli scout francesi, cacciatori di talenti in erba. Quando arrivò al Metz il futuro campione aveva appena 15 anni. Non aveva fatto in tempo neppure ad avvertire i suoi che sarebbe volato in Francia e quando chiamò al telefono la mamma, Satou, la donna rimase sorpresa: “Quale Francia? Quale Europa? Tu sei a Dakar…”. Da quel momento la sua vita è, pian piano, mutata attraverso le esperienze in Francia (nel Metz, quando aveva 17 anni), in Austria (coi Red Bull di Salisburgo: 80 presenze, 42 gol)), in Inghilterra (prima nel Southampton e poi nel blasonato Liverpool), dove è definitivamente esploso. Le sue statistiche parlano da sole: in carriera ha disputato 304 partite segnando 124 gol. Con i Reds sono diventate ancora più eloquenti: 152 presenze, 70 reti (quasi una ogni due giornate). vanta anche il record della tripletta più veloce della Premier League, siglata contro l’Aston Villa: tre palloni in rete in 2’56” (il primato precedente di 4’ 33’’ apparteneva a Robbie Fowler).

Ma quel che più lo distingue dagli altri big del calcio internazionale sono due qualità: l’umiltà ed il mecenatismo. “Non ho bisogno di possedere – ha raccontato, a cuore aperto, un paio di anni fa a Teledakar – dieci Ferrari, venti orologi d’oro, case enormi e di spendere i guadagni per cose inutili e futili. Preferisco condividere con la mia gente un poco della fortuna che la vita mi ha concesso”. Questo è, probabilmente, l’Uomo che Diogene cercava, invano, con la sua lampada. Per questo, da disinteressato benefattore, ha investito parte dei suoi cospicui introiti per costruire un piccolo stadio, scuole, un ospedale e invia contributi mensili per aiutare le famiglie più povere ad avere cibo e indumenti, nel vilaggio di Bambali, nel profondo sud del Senegal, la terra dove è cresciuto. Quando scende in campo questo campione – ha vinto un campionato ed una coppa d’Austria col Salisburgo e un campionato inglese, una Uefa Champions League, una supercoppa Uefa e una coppa del mondo per club in Inghilterra con i Reds del Liverpool oltre al titolo di vicecampione d’Africa con la nazionale del suo paese – indossa la maglia numero 10, quella dei più grandi e famosi assi di tutti i tempi. Ma meriterebbe, per il suo cuore d’oro, che sotto al numero venisse stampigliata anche una aggiunta: “e lode”.

Elio Clero Bertoldi

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