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Contano le vite dei neri o quelle di tutti?

di | 2020-06-14T13:17:08+02:00 14-6-2020 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

ROMA – Non si dovrebbe chiedere ad un genitore che dice di amare suo figlio perché non ama anche sua figlia. E non si può criticare chi fa beneficenza solo per la distrofia muscolare ma non per altre malattie. Non c’è bisogno, poi, di un “etero pride” o di manifestazioni a favore della famiglia tradizionale perché ad essere discriminati sono gli omosessuali, non gli altri. Sono questioni subdole, queste, che possono disorientare. Eppure così ragiona, capziosamente, chi dichiara “All lives matter” (Tutte le vite contano), movimento di risposta a “Black lives matter” (Le vite nere contano). Quest’ultimo in questi giorni sta manifestando contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto. La corrente “All lives matter”, che probabilmente ha frainteso (o voluto fraintendere), il messaggio degli avversari, nasce per far sembrare di parte i neri che si stanno battendo contro la recente recrudescenza di violenze e abusi contro di loro, in America soprattutto, ma anche in tutto il mondo. I sostenitori di “Tutte le vite contano”, infatti, accusano i neri di pensare soltanto ai propri diritti e negano, perciò, il problema degli afroamericani con tutto il suo carico di violenze, sangue, disagio sociale. E’ su questa sottigliezza, da sempre strumentalizzata dalla politica, che si sta svolgendo una guerra ideologica, sui social media ma anche sulle piazze, tra BLM (le vite dei neri contano), e ALM (tutte le vite contano).

E così è difficile comprendere cosa, esattamente, stia succedendo nella mentalità americana da quando è stato ucciso, a Minneapolis in Minnesota, George Floyd, nero di 46 anni, soffocato da un poliziotto che gli ha piantato un ginocchio in gola dopo averlo steso a terra. Stavolta il fatto, solo l’ultimo contro i neri, ha aperto una voragine ed ha mostrato quanto la mentalità americana, ma non solo quella, possa essere confusa e manipolata da una sfumatura sottilissima nell’uso delle parole. Il fatto, per la sua portata mediatica (quella morte è diventata subito virale grazie ad un video), è stato come un soffio sulle braci di un conflitto da sempre acceso non solo nella comunità americana ma, si può dire, anche in quella mondiale. Una ferita nell’umanità, possiamo dire, di cui la politica si è servita per fare del nero un capro espiatorio in una sempre utile guerra tra poveri di tutti i colori. Per questo, dopo la terribile morte di Floyd, “BLM” ha ripreso a protestare contro le violazioni ai danni dei neri che persistono benché la discriminazione razziale in America sia stata abolita a partire dalla metà del XX secolo e, in teoria, venga considerata inaccettabile.

Oggi in America, varrà ricordarlo, il 13 per cento della popolazione è afroamericana ed essa rappresenta anche il 40 per cento dei detenuti, spesso arrestati senza motivo e in attesa di un processo che non avverrà mai. Minneapolis, poi, la città di George Floyd, sta in uno dei cinque Stati dove i neri finiscono in carcere cinque volte di più dei bianchi. A preoccupare, però, oltre al gravissimo fatto di cronaca, è ciò che serpeggia sotterraneo nella mentalità americana dove, in risposta alle proteste dei neri, si sono mobilitati i sostenitori di ALM interessati a sottolineare che “tutte” le vite devono essere protette, interpretando la pretesa di diritti da parte neri come un affronto a quello di tutti gli altri, principalmente dei bianchi. Tra le due fazioni, su questo principio, è nata una guerra ideologica, molto accesa anche sui social ma non in Italia, in cui parteggiano da anche personaggi famosi e Vip: la questione etica è di vasta portata. Sostenere che “Tutte le vite contano” significa voler ribadire un concetto scontato, che somiglia alla critica di chi non vede di buon occhio la beneficenza per la ricerca sulla distrofia muscolare perché esistono altre malattie gravi. Non dovrebbe esserci bisogno di puntualizzazioni in merito. I dati, però, raccontano una triste storia.

“La cultura razzista pervade gli ambienti della polizia americana. E’ diffusa l’idea che se sei un nero probabilmente hai commesso qualcosa di illecito”, dice a “Osservatorio dei diritti” Stefano Salimbeni, giornalista residente a Boston da 25 anni. “Essere un nero in America non dovrebbe essere una sentenza di morte – ha dichiarato il sindaco di Minneapolis, Jacob Frei, dopo l’omicidio di George Floyd – . Eppure il colore della pelle diventa ancora oggi una condanna”. Non ne sono convinti quelli di “ALM” per i quali il problema dei neri non è, appunto, un problema. Mentre la polemica divampa,  il dilemma denota una certa sottigliezza da cogliere tra le righe. Lo slogan  le vite dei neri contano” non vuole sminuire il disagio di altre fasce sociali ma solo ribadire che esiste una questione, un “errore” dell’opinione legato al colore della pelle che alla politica fa comodo per attizzare il disagio dei bianchi contro quello dei neri. Lo stesso Barack Obama, al nascere del dibattito tra le due fazioni, aveva precisato che “la frase Black Lives Matter non vuole suggerire che le vite di nessun altro contano… ma che c’è un problema specifico nella comunità afroamericana che non esiste in altre comunità”.

E’ stato molto chiaro, sul messaggio subdolo contenuto in “All lives matter”, il giornalista Alan Friedman nel suo libro “Questa non è l’America”, pubblicato nel 2017, in cui ha raccontato le circostanze in cui è nato questo movimento di indole populista e demagogica che si oppone ai “black”. “All lives matter”–  racconta Friedman – è nato dopo il 7 luglio 2016 quando un cecchino nero uccise sei poliziotti bianchi, episodio che ‘tolse il cerotto al razzismo americano’ e che prese forma nel movimento contro “Black lives”, fomentato da un sostenitore di Donald Trump. L’attuale Presidente degli Stati Uniti quando fu candidato alle elezioni, guarda caso, fu presentato come colui che avrebbe pensato alle vite di tutti”.

E’ una guerra che non finirà, quindi, quella tra bianchi e neri perché nella cabina di regia non c’è nessuno che la vuole far finire, anzi. La confusione apparentemente causale tra i due movimenti, il fatto che l’uno venga istigato contro l’altro, visto come suo usurpatore, ci dice che questa spaccatura nella società americana non verrà sanata finché ci sarà qualcuno interessato a guadagnare consenso dal disagio e dalla povertà delle minoranze, soprattutto quelle bianca e nera che stanno combattendo l’una contro l’altra.

Gloria Zarletti

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