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Libertà di stampa, sempre peggio

di | 2018-02-15T09:59:53+01:00 15-2-2018 9:30|Attualità, Prima Pagina, Sezione 7|0 Commenti

The Post, proprio in questi giorni uscito nelle sale cinematografiche italiane, ripropone – se mai ce ne fosse stato bisogno – il tema della libertà di stampa. Racconta la grande fuga di notizie che ha svelato al mondo la verità sulla guerra in Vietnam e ribadisce – oggi più che mai – l’importanza della libera informazione. Una fuga di notizie senza precedenti che nel 1971 portò alla ribalta della cronaca mondiale i crimini di guerra americani, innescando uno scontro sia legale che ideale tra la Casa Bianca e gli organi di stampa.

Il film, per la regia di Steven Spielberg e interpretato tra gli altri da Meryl Streep e Tom Hanks, evidenzia il contrasto sempre esistito tra organi d’informazione e potere politico e/o economico. Un contrasto che troppo spesso, però, si trasforma in dipendenza e complicità con gli interessi che non sono certo del lettore-utente e, meglio ancora, dell’opinione pubblica.

Un argomento che interessa molto da vicino il mondo dell’informazione di casa nostra se consideriamo che Reporters sans Frontieres nella sua recente classifica annuale sulla libertà di stampa pone l’Italia al 52° posto.

C’è di più, nella ricerca sociologica di Daniel Hallin e Paolo Mancini su “Modelli di giornalismo” si identifica l’Italia (insieme a Spagna, Grecia, Portogallo e Francia) in quello che può definirsi il modello “Pluralista polarizzato” o “Mediterraneo” caratterizzato “da una stampa d’élite, debole e molto parallela al sistema politico, da una grande diffusione dei media elettronici, da una scarsa professionalizzazione giornalistica e da un alto intervento dello Stato nel settore”. A differenza del modello nord-europeo e ancora di più di quello anglo anglo-americano che risultano più attenti agli interessi dell’opinione pubblica.

Considerando poi che l’Italia si è sempre distinta per l’assenza di editori puri, cioè di coloro la cui attività d’informazione sia esclusiva e non legata a gruppi finanziari che hanno interessi prevalenti in altri settori, allora c’è veramente da stare poco allegri.

Tutto questo non vuol dire che non esistano giornalisti liberi e indipendenti, ce ne sono eccome. Ma per colpe che non stanno solo da una parte è vero che l’informazione italiana è parziale, superficiale e comunque manipolata e che il futuro non si mostra affatto promettente.

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