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La tradizione delle “Tavolate” di S. Giuseppe

di | 2018-03-19T09:32:55+01:00 19-3-2018 6:30|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

ENNA – Tutto pronto per la festa di San Giuseppe. Nei giorni scorsi si è concretizzato il cosiddetto traficu, che consiste nella raccolta e pulizia di alcune verdure selvatiche (finocchi e cardi) da parte di numerose persone che, partono di buona mattina con i sacchi vuoti e tornano all’imbrunire con i sacchi pieni.

Iniziata circa 400 anni fa, quella degli Altari, detti artara di San Giuseppe è una tradizione che continua ancora oggi in alcuni paesi della provincia di Enna (Leonforte, Nissoria, Valguarnera). L’altare nasce a seguito di una promessa o voto che i padroni di casa avevano rivolto a San Giuseppe e consiste nell’imbandire una grande tavola con numerose forme di pane lavorato in particolarissime fogge, pupiddi e cuddure, ma anche di alcune primizie alimentari, peraltro fuori stagione, dolci tipici, arance e vino. Le cuddure sono delle vere e proprie sculture di pane che riproducono i Santi, la Madonna e Gesù, preparate da esperte massaie che si occupano solo di questa operazione in quanto per i rimanenti preparativi si richiede l’aiuto, spontaneo, dell’intero vicinato e dei parenti: si devono, infatti, pulire i cardi e i finocchietti selvatici, che vengono successivamente sbollentati e fritti, preparare le “sfincie” di San Giuseppe e bollire le fave e i ceci, da distribuire a tutti coloro che durante il pomeriggio e la sera del 18 marzo e fino al mattino del giorno successivo, andranno a visitare questi altari, la cui posizione viene segnalata da una stella di luci. Durante queste visite si potrà anche assistere alla recita delle raziuneddi, preghiere dialettali che narrano la vita di Gesù.

A mezzogiorno del 19, si giunge alla cerimonia conclusiva con la partecipazione dei santi ai quali verrà distribuito quanto imbandito sull’altare. Questi, all’inizio della tradizione, erano reclutati tra le famiglie più indigenti, quando la povertà endemica molto diffusa dava luogo a situazioni desolate di vera fame. Ciò consentiva ai poveri di ricevere quanto permettesse loro di che sostentarsi per qualche settimana; e all’artefice dell’altare di assolvere al voto fatto. Ad ogni santo, con precisi rituali, viene distribuito un corredo di vivande consistente in una porzione o piatto di ogni cosa, non prima però che il padrone di casa, con un rito che vagamente ricorda quello dell’ultima cena, abbia provveduto loro alla lavanda ed al bacio dei piedi.

Rosa Rosano

 

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