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La preziosa opera dell’Onmi raccontata da Franco Rossini

di | 2020-11-20T13:29:34+01:00 22-11-2020 6:20|Personaggi, Sezione 5|0 Commenti

MONTEROTONDO (Roma) – Per molti è il Parco “Omni”, per i ragazzi è solo il parco per andare a tirare calci al pallone o chiacchierare su una panchina. Solo le persone con più anni, il nome del parco di via XX Settembre, con accesso anche dal parcheggio di Santa Maria (davanti alla Conad), lo sanno scandire correttamente: “Onmi”, acronimo per Opera Nazionale Maternità e Infanzia, un progetto che ha lasciato traccia di sé soltanto nella denominazione di quell’area verde. Anche Monterotondo ne fu sede quando, nel 1925, Mussolini a inizio dittatura fondò questo ente assistenziale con sedi sparse in Italia, allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà. Con una precedente legge, nel 1923, era già stata abolita la pratica dell’abbandono dei neonati davanti alle chiese (la cosiddetta Ruota degli Esposti). Ora con l’Onmi l’accoglienza e l’aiuto a primipare, donne abbandonate o vedove con i loro nascituri, passava dalla Chiesa allo Stato.

Anche nel complesso di Santa Maria, quindi, progettato dall’architetto Ettore Rossi (lo stesso che lavorò all’ideazione dell’Eur), su modello belga, si realizzò il disegno del duce: abbassare l’elevatissimo tasso di mortalità infantile in Italia e far crescere la popolazione dai 40 ai 60 milioni di abitanti. E così qui, proprio a Monterotondo, vide la luce il 23 settembre 1941 anche Renato Curcio, sociologo e saggista italiano, ma soprattutto ideologo delle Brigate Rosse. Sua madre, la pugliese Jolanda Curcio, era una delle tante giovani donne con i requisiti per l’accoglienza: aveva avuto il suo bambino da una relazione extraconiugale con Renato Zampa, fratello del noto regista cinematografico Luigi Zampa. Quindi era sola. All’Onmi, infatti, potevano rivolgersi donne incinta o già madri purché nubili o vedove. E anche le sposate, quando il marito non fosse in grado di sostenere economicamente le spese connesse all’allevamento. Tutto nasceva dall’idea di Mussolini che si basava sull’aumento del numero ma anche sulla qualità dei nuovi nati, destinata al miglioramento della razza. Non a caso nella struttura di Monterotondo, sulla collina di Santa Maria, venivano accolti anche bambini di famiglie povere e che quindi non potevano essere nutriti e curati sufficientemente, oppure che erano a rischio di abbandono, quindi di fame e poi di morte. Per accrescere il numero di nati, nel 1926 il duce aveva abolito anche l’aborto, considerato crimine contro lo Stato.

Per fare spazio alla nuova struttura di Monterotondo, dunque, fu scelta la zona più isolata dal centro cittadino, in grado di garantire alle ospiti protezione dagli occhi indiscreti, da chiacchiere che potessero indurre, per disperazione, al ricorso all’aborto. Questa località era, appunto, Santa Maria, la più verdeggiante (non era stata ancora invasa dalle costruzioni), e salubre perché in collina. Qui, nel 1936, fu demolito il convento dei frati per fare spazio ad una costruzione molto ampia e autonoma, con molti ambienti per le varie attività e dove personale specializzato potesse provvedere a tutti i bisogni delle mamme nonché all’educazione dei bambini in un ambiente confortevole e sicuro. Ricorda tutto questo Franco Rossini, monterotondese doc, con un video da lui stesso realizzato e pubblicato sul gruppo facebook “Gente di Monterotondo” in data 10 ottobre 2018, completo di foto d’epoca e il racconto di come andarono le cose. “Praticamente – osserva Rossini – si trattava di qualcosa di simile alla tradizionale ruota ma stavolta l’assistenza era organizzata dal governo. Il tutto – prosegue – fu poi ‘oscurato’ alla fine del regime, come tutte le opere eclatanti del ventennio”.

Rossini si diletta, poi, nel raccontare la storia di questo edificio che rappresentò il cuore di un nuovo quartiere cittadino: “Santa Maria”, dal nome della Chiesa che era già presente, con annesso un convento di frati. L’attività dei centri d’accoglienza Onmi, in Italia, durò parecchio e l’ente fu sciolto molto dopo il tramonto del fascismo: nel 1975. Non si può negare, colore politico a parte, che il progetto sia servito a professionalizzare la maternità con la creazione di nuove specializzazioni ma anche, fuoriuscendo dal suo territorio, ad assistere e aiutare una popolazione che usciva stremata dalla guerra, dalla fame e dalle malattie. Dopo anni di abbandono, però, gli edifici dell’Onmi di Monterotondo furono riutilizzati con altri scopi: la scuola media da dove da generazioni escono con il diploma i ragazzi eretini, il villino dove per anni hanno avuto sede il dispensario e il centro Carlo Ferri e, non ultimo, il parco, la cui utilità sociale è rimasta per essere luogo di incontro, con qualche panchina e degli alberi a fare ombra, di giovani o famiglie con bambini e anche perché ospita il centro anziani.

A ricordare gli antichi fasti del secolo scorso c’è rimasto ben poco. Il video di Franco Rossini, perciò, diventa automaticamente una fonte preziosa con le sue foto d’epoca corredate dalle sue spiegazioni e qualche commento che aiutano a riportare in vita ricordi che sono ormai solo di pochi. “Ho solo assemblato materiale proveniente da varie pubblicazioni – si schermisce tuttavia lui – e foto di qualche amico che aveva parenti assunti nella struttura”. Lo ha messo sul web, però, e tanto basta per averlo fatto conoscere a tante persone. “Mi ci sono appassionato – spiega ancora lo studioso – perché conobbi un signore che era nato all’Onmi e avrebbe voluto trovare le generalità della mamma, cercai di aiutarlo ma fu una cosa impossibile. E’ stata solo l’ultima conferma che se una donna si rivolgeva a questo ente non ci sarebbe stato niente a mettere a repentaglio la sua reputazione. Allora si era risolto un problema – conclude – che ad oggi è solo una questione aperta tra fazioni politiche”.

Gloria Zarletti

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