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La foto ha 180 anni, un’invenzione contesa

di | 2019-02-03T09:47:41+01:00 3-2-2019 6:30|Cultura, Sezione 7|0 Commenti

ROMA – Il 7 gennaio del 1839 nasce ufficialmente la fotografia. Fu il deputato francese, Dominique Arago, a spiegare nei dettagli all’Accademia di Francia l’invenzione di Louis Mandè Daguerre (foto in basso a destra), quella che verrà chiamata dagherrotipia. Ufficialmente, appunto, in quanto già dodici anni prima Joseph Nicephore Niepce aveva realizzato la prima vera fotografia della storia, scattata da una delle finestre della sua casa a Le Gras in Francia.

 

Per imprimere le immagini della camera oscura su una lastra da incisore Niepce utilizzò il bitume di Giudea, sostanza costituita da bitume, standolio, argilla ed essenza di trementina. Niépce cospargeva le lastre destinate a essere incise con l’acido con un sottile strato di bitume e le collocava sul fondo della camera oscura. Questo prodotto rendeva le lastre fotosensibili, al punto che, dopo un’esposizione che durava diverse ore, le parti esposte alla luce si scolorivano e si indurivano, mentre le regioni scure del supporto non subivano alterazioni. La lastra veniva dunque lavata in essenza di lavanda, così da rimuovere il bitume in eccesso, e cosparsa di inchiostro, che si depositava nelle zone scure, quelle erose dall’acido. Terminato questo procedimento, appariva l’immagine fotografica vera e propria.
Per il dagherrotipo si trattava invece di una lastra di rame su cui era stato applicato elettroliticamente uno strato d’argento che veniva poi sensibilizzato alla luce con vapori di iodio. La lastra doveva quindi essere esposta entro un’ora e per un periodo variabile tra i 10 e i 15 minuti. Lo sviluppo avveniva mediante vapori di mercurio a circa 60 °C, che rendevano biancastre le zone precedentemente esposte alla luce. Il fissaggio conclusivo si otteneva con una soluzione di tiosolfato di sodio che eliminava gli ultimi residui di ioduro d’argento. L’immagine ottenuta, il dagherrotipo (foto in basso a sinistra) non era però riproducibile e doveva essere osservata sotto un angolo particolare per riflettere la luce in modo opportuno.

Ma se proprio la vogliamo dire tutta, la nascita della fotografia come la intendiamo – anzi come l’abbiamo intesa fino all’avvento delle immagini digitali, ovverosia il passaggio negativo/positivo – si deve all’inglese Henry Fox Talbot il quale nel 1841 comunicò la realizzazione di una matrice riproducibile all’infinito. Un foglio di carta veniva immerso in una soluzione di nitrato d’argento e parzialmente asciugata, quindi imbevuto in una soluzione di iodato di potassio per due o tre minuti, risciacquato e asciugato. Doveva essere conservato al buio. Dopo l’esposizione alla luce si immergeva il foglio in una soluzione di acqua distillata e acido gallico. Dopo qualche minuto appariva l’immagine.

 

Il processo finale richiedeva un’immersione del foglio per circa mezz’ora in una soluzione di iposolfito di sodio al 12% o bromuro di potassio e un lavaggio finale, accurato, in acqua comune. Si otteneva il negativo dell’immagine che diventerà la fonte di tutte le stampe successive.

Come spesso è accaduto, e probabilmente accadrà anche in futuro, non tutte le invenzioni arrivano in un attimo ma camminano piano e possono anche giungere da direzioni diverse. E’ stato così per la fotografia 180 anni fa, più d’uno a contendersi il primato di una scoperta certamente importante ma poi alla fine quello che conta è il risultato e l’utilità che di questa ne fa la collettività.

 

 

Gianni Tassi

 

Nella foto di copertina, la prima foto realizzata da Niepce dalla finestra della sua casa a Le Gras in Francia

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