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Il racconto – Quando Clementina partì per la Sicilia

di | 2020-03-20T18:41:59+01:00 22-3-2020 6:25|Attualità, Sezione 6|1 Comment

Clementina, zainetto in spalla, era atterrata all’aeroporto di Catania il 26 febbraio. Il biglietto lo aveva comperato due mesi prima. Voleva festeggiare il suo compleanno con una persona cara, il suo nuovo fidanzato, e così era partita nell’assurda speranza di rientrare presto. Sì, perché nel frattempo, un virus letale si stava impossessando dell’umanità e dopo la Cina era toccato all’Italia. Il panico si era diffuso la domenica precedente, il 23 febbraio, a Milano dove Clementina insegnava. Non si capiva più niente. Supermercati saccheggiati, voli introvabili se non a prezzi da capogiro, gente impazzita, confusa, impaurita. Nemmeno lei, Clementina, sapeva cosa fare. Giorni addietro aveva comperato per precauzione due mascherine e un gel per disinfettare le mani. Si parlava di un virus che stava dilagando in Cina e stava mietendo numerosissime vittime, con tanti, troppi, contagiati. Si parlava di bloccare i voli provenienti dalla Cina, di tamponi, di mancanza di medicinali per contrastare la malattia.

Aveva avuto paura Clementina, di restare sola col virus a Milano. Aveva pensato di rifugiarsi in montagna, in Val Seriana, dove aveva una casetta e tanti amici, ma era prevalso il sentimento di amore e alla fine era partita. Accompagnata in auto a Malpensa, con la mascherina sul volto ed i guanti di pizzo sulle mani, aveva preso il volo per Catania. Una volta in terra di Sicilia le avevano controllato la temperatura. Tutto bene. Del resto sapeva di avere solo la sua vecchia e odiata sinusite, quella che da sempre la torturava oltre all’ipertensione, naturalmente. I primi giorni trascorsero tra notizie confuse e discordanti, comportamenti apparentemente normali. Bar, ristoranti e teatri aperti. Così si era realizzato il sogno della festa di compleanno al mare e pure lo spettacolo teatrale. Dalla Lombardia arrivavano notizie sconfortanti, il pensiero andava a chi aveva lasciato, parenti e amici. Poi di colpo la falce impietosa si era abbattuta su tutta la penisola, isole comprese. Restrizioni che dapprima avevano riguardato solo alcune regioni del Nord e che poi avevano raggiunto anche il Sud, insieme alle migliaia di emigrati che con qualunque mezzo e a qualsiasi prezzo avevano raggiunto i propri cari sfidando la paura e le regole.

Clementina aveva registrato immediatamente la propria presenza sull’isola alle autorità competenti e via via la maggior parte lo stava facendo ottemperando alla nuova ordinanza, quella dell’8 marzo. Da quando era arrivata lo scenario era completamente cambiato. Le strade divenute pressoché deserte, bar e ristoranti chiusi, scuole chiuse. Obbligo di restare a casa per tutti. Concesso uscire per fare la spesa, comperare medicine o andare a lavorare. Ora erano rimasti solo gli eroi sul posto di lavoro: infermieri, medici, sanitari, farmacisti, e poi gli addetti ai lavori nei supermercati e nei negozi di alimentari. Il silenzio più totale, nell’aria e nell’anima. La paura, l’ansia e l’angoscia cominciavano a serpeggiare anche in Clementina. Si trovava in una casa non sua, in un paese quasi del tutto sconosciuto, con una persona adorabile, affettuosa e premurosa che la faceva sentire amata e mai più sola. Si sentiva fragile lo stesso. Una figlia in un altro continente, partita per vedere il mondo e rimasta li per studiare. Non la vedeva da più di due anni. Si chiedeva ogni giorno se avrebbe avuto la gioia di rivederla e quando. Dapprima sembrava contenibile l’epidemia, come se fosse possibile erigere un muro altissimo per separare i malati, gli italiani, dal resto del mondo come già si era fatto per la Cina, poi si era capito che il muro aveva delle crepe e che tra queste erano passati gli infiltrati che avevano sparso il virus in Europa, Asia, America e perfino in Australia. Senza pietà e senza riguardo per nessuno.

Mancava ancora qualcuno all’appello, come la Russia e l’Africa, ma presto sarebbero arrivate anch’esse, a completare un quadro che aveva il sapore dell’Apocalisse. Difficile mantenere la calma e la positività tra tante notizie catastrofiche che arrivavano dai social e dai media. A Bergamo il numero dei decessi sempre in aumento ingrossava le fila dei conoscenti della Val Seriana, persone con cui Clementina aveva condiviso una parte di vita e che ora sapeva di non poter più salutare. Tanti i contaminati e quasi tutti in quarantena. Sicuramente non avrebbe saputo riconoscere il suo paese della Val Seriana, quello dei giorni felici trascorsi sui sentieri montuosi, tra boschi e piccoli rivoli d’acqua. Niente sarebbe stato più uguale. Ormai una certezza. Come sostenere la figlia sola e lontana, attanagliata dalla paura e dallo sconforto, come consolare i familiari di chi nella Bergamasca ora non c’era più, come continuare a sorridere e a sperare? Per fortuna non era sola e ormai la cittadina in provincia di Catania cominciava ad esserle non più estranea, forse si poteva ricominciare. Ricominciare dall’Inno d’italia cantato a squarciagola sui terrazzi, dal “Blu dipinto di blu”, dalle poesie via web, dai concerti in streaming, da quei sorrisi abbozzati sotto le mascherine bianche.

Sì, si poteva ricominciare dal mandorlo in fiore, dal ciliegio fiorente, dal cardellino loquace e da quella voglia di primavera e di rinascita che scoppiava nel cuore di ciascuno, in mezzo alla paura e ai tanti perché. Andrà tutto bene, questo il motto di tutti, ed era anche il suo, quello di Clementina. Ogni giorno lo ripeteva alla figlia in videochiamata nella speranza di non scorgere più il nome di nessun conoscente, amico o parente tra i contaminati o peggio ancora deceduti. Clementina sognava di svegliarsi un giorno scoprendo che era tutto finito. Il virus sconfitto e tutti liberi di uscire in strada a far festa e ad abbracciarsi. Quel giorno verrà presto. Clementina lo augura a tutti.

Margherita Bonfilio

One Comment

  1. Gaetana Giusepoa 23 marzo 2020 at 15:49 - Reply

    Bello, semplice e lineare. La storia di quanto accaduto.

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