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Il Dante barbuto di Orvieto protagonista di una mostra

di | 2021-04-02T20:10:10+02:00 4-4-2021 6:25|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

ORVIETO (Terni) – Alzi la mano chi non si immagina, così come le iconografie ce lo hanno per tradizione rappresentato, il Sommo Poeta col viso glabro, pulito, rasato di fresco. Ed invece… Invece il sindaco di Orvieto, Roberta Tardani, una mattina entrando nel suo ufficio, si è resa conto di una particolarità, alla quale in precedenza nessuno aveva fatto caso. Sì, certo, che il ritratto raffigurasse Dante Alighieri, come risulta dal nome e dal cognome riportati in alto, a sinistra e a destra della tela, lo sapevano tutti in Municipio. A partire dagli uscieri. Ma nessuno si era mai soffermato sulla singolare caratteristica di quella barba folta e scura, che rappresentava il poeta quasi fosse, ante litteram, uno dei “barbudos”dell’esercito castrista.

Roberta Tardani, sindaco di Orvieto

E così per celebrare degnamente l’anniversario del “Dantedì” (finalmente qualcuno che non si lascia prendere la mano dagli inglesismi…) a metà settembre il quadro diventerà il pezzo più rilevante e di maggior richiamo di una esposizione, che si annuncia molto interessante, da ospitare nel museo “Claudio Faina”. Sul quadro, che non è firmato, gli esperti, incaricati dal Comune, stanno svolgendo degli accurati approfondimenti grazie a strumentazioni (microscopio digitale a fibra ottica) e tecnologie sofisticate (raggi ultravioletti UV). Si era ritenuto, sulle prime, che la barba fosse stata aggiunta in epoca recente, ma le analisi hanno confermato che l’onor del mento è coevo al resto della pittura a tempera. Adesso si punta a datare, con la maggior precisione possibile, l’epoca in cui l’opera è stata dipinta. La tela utilizzata è risultata essere stata tessuta a mano, non in maniera industriale.

Siamo di fronte ad un pittore del ’500, del ’600 o del ’700? Gli esperti ipotizzano di prelevare dei pigmenti di colore blu del cappello per sottoporli ad esami chimici per risalire al periodo, grosso modo, in cui il quadro venne creato e completato. Per arrivare magari ad una attribuzione. Molti si sono chiesti se quella barba che incornicia il volto del poeta non sia una licenza artistica dello sconosciuto autore del ritratto del padre della lingua italiana (all’anagrafe Durante, accorciato in Dante). Ma a confutare questa tesi soccorre il “Trattatello in laude di Dante Alighieri” di Giovanni Boccaccio, redatto una trentina d’anni dopo la morte del poeta, che nel pennellare in prosa le sembianze del Sommo in una delle prime biografie del “ghibellin fuggiasco”, scrive del suo “volto lungo”, del “naso aquilino”, delle “mascelle grandi”, del colore del carnato “bruno”, e – aspetto che più interessa in questa sede – di “capelli e barba, spessi, neri, crespi”.

Il Museo Claudio Faina ospiterà la mostra

Dunque, se non sempre, almeno in alcuni periodi della sua travagliata esistenza, Dante si era fatto crescere barba e baffi. Magari dopo la condanna a morte e durante l’esilio (“igni comburatur, sic quod moriatur”: ordinava la sentenza emessa da Cante de’ Gabrielli di Gubbio), lontano dai suoi (la moglie Gemma Donati, i figli), privato dei beni e dei possedimenti (confiscati), tentato a rientrare in Firenze con le armi (ma poi allontanatosi dai malvagi compagni), in mesto pellegrinaggio da una città all’altra, ospite di mecenati (ricordate il verso: “sì come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere ed il salir per l’altrui scale”?), preso dallo scoramento, potrebbe essersi lasciato andare ed essersi curato un po’ di meno nell’aspetto e nella forma. Anche per sottolineare, alla presenza degli anfitrioni, la dolorosa “disgrazia” dalla quale era stato, ingiustamente, colpito per ragioni puramente e squisitamente politiche: la lotta senza esclusione di colpi tra i Neri (la fazione prevalentemente aristocratica, capeggiata dai Donati) ed i Bianchi (quasi tutti mercanti, guidati dai Cerchi, per i quali parteggiava il Nostro, sebbene fosse per nascita un nobile, sia pure non di antico lignaggio), proprio quando lui a metà dell’anno del primo giubileo (il 1300) era stato eletto tra i 7 Priori di Firenze, cioè al governo della città.

Di sicuro la barba, per ovvi motivi, non la portava quando, ad 8 anni appena, incontrò per la prima volta Bice (di pochi mesi più piccola) cioè Beatrice de’ Portinari – il suo grande amore giovanile, morta a soli 24 anni – e, probabilmente, neppure dieci anni più tardi, quando lei, già sposata col banchiere Simone de’ Bardi, lo incrociò per strada e lo chiamò per nome, lasciandolo sgomento e senza parole, così goffo, tanto da rientrare frettolosamente in casa sua e di rinchiudersi in camera, come uno sbarbatello imbranato.

Il quadro conservato nel Comune di Orvieto

Ma chissà che nella battaglia di Campaldino, l’11 giugno 1389, nella quale tra i cavalieri “feditori” dei guelfi fiorentini, i primi a lanciarsi all’assalto dei ghibellini di Arezzo, militavano lancia in resta Dante e Cecco Angiolieri (sì, proprio il poeta – tutto il contrario del suo commilitone e concittadino – irriverente, giocoso, godereccio del “S’io fossi foco”), si fosse fatto crescere una barba incolta ed ispida vuoi per apparire più maturo dei suoi freschi 24 anni, vuoi per incutere, se non terrore (lui stesso confessò, con sincerità, di averla provata, e forte, la paura…) almeno un po’ di panico nei nemici: la guerra psicologica non appartiene soltanto ai nostri tempi. Anzi.

Sia come sia, resta ferma la certezza che l’averlo rappresentato in questo sembiante non si configura come un capriccio dell’autore o, peggio, quale un falso storico, ma piuttosto un richiamo fedele a quanto tramandato da una fonte autorevole quale risulta essere il Boccaccio (e magari da altre che sono andate perdute e che l’anonimo pittore, invece, ha potuto consultare), che avrà raccolto per redigere la biografia, informazioni da testimonianze dirette, orali o scritte, di chi il poeta lo aveva conosciuto o frequentato, più o meno assiduamente. D’altro canto leggo che sia in una miniatura conservata a Venezia, sia in un ritratto del celebre Agnolo Bronzino, proprietà di un privato a Firenze, Dante sia stato raffigurato con un filo di barba, anche se non proprio come un “barbudo” cubano del quadro di Orvieto. Un motivo in più, dunque, per vantarsi di presentare, al colto ed all’inclita, a partire dal 14 settembre, giorno di inizio programmato per la mostra, una rarità o meglio ancora un pezzo unico, originale, inedito di un Dante fino ad oggi sconosciuto.

Elio Clero Bertoldi

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