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I misteri del dipinto rubato e ritrovato

di | 2019-08-16T14:47:27+02:00 18-8-2019 6:15|Arte, Sezione 4|0 Commenti
PERUGIA – Dopo quasi trent’anni è rientrata a Perugia una splendida tempera su tavola, la “Madonna con bambino”, attribuita al Pinturicchio (al secolo Bernardino di Betto, di Perugia) e comunque figlia di quel movimento di artisti che la critica d’arte ha definito “il rinascimento umbro”.
L’opera – il cui valore venale supera di gran lunga il milione di euro – è stata consegnata nei giorni scorsi alla Galleria Nazionale dell’Umbria, dove resterà fruibile ai visitatori fino al 26 gennaio. Al termine dell’esposizione verrà organizzato un convegno di studi per arrivare, se possibile, a dare alla pittura una attribuzione univoca e definitiva, considerando che finora ci si è orientati prima su Fiorenzo di Lorenzo, quindi su Bartolomeo Caporali ed infine sul Pinturicchio.
Tutto il merito del (graditissimo) ritorno della tavola è da attribuirsi al fiuto ed alla professionalità dei carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Perugia (al comando del tenente colonnello Guido Barbieri) ed alla puntuale opera di diplomazia condotta dal Ministero dei Beni Culturali.
Già perché l’opera, sottratta al proprietario – una facoltosa famiglia perugina – era finita alla casa d’aste più importante al mondo, la Christie’s di Londra, pronta ad essere venduta al miglior offerente, cosa questa che avrebbe significato il rientro definitivo nell’oblio del dipinto (l’acquirente privato lo avrebbe tenuto per sé, magari in cassaforte). Gli investigatori, sempre molto attenti ad internet (su cui la vendita era stata pubblicizzata) hanno effettuato le comparazioni della foto apparsa sul web con quelle della loro ricchissima banca dati, e hanno chiesto l’intervento del ministero, che ha compiuto i passi necessari ed ha ottenuto il sequestro prima e la restituzione subito dopo (il 19 luglio scorso).
Il trafugamento Il furto nel bel palazzo del professionista perugino, collezionista di numerose opere d’arte, era stato consumato, ad opera di ignoti, nel novembre del 1990. I ladri si erano rivelati particolarmente esperti, tanto da non lasciare tracce e neppure segni di effrazione. Un lavoro “pulitissimo”. La notizia del clamoroso colpo non era filtrata in quanto la vittima, aveva sì presentato immediata denuncia alle forze dell’ordine, ma aveva sollecitato il massimo riserbo in quanto – probabilmente – temeva di finire nel mirino dei malintenzionati. Aveva paura, insomma, che la diffusione della notizia sulla stampa e sulla televisione, avrebbe attirato l’attenzione di ladri di opere d’arte sulla sua collezione, di particolare prestigio.
Sulla scorta delle indagini più recenti la magistratura perugina aveva inoltrato una rogatoria internazionale al Regno Unito con richiesta di sequestro della tavola, ospitata nel “caveau” della casa d’aste londinese. Al tempo stesso il comando del nucleo TPC aveva sollecitato il blocco della vendita, con l’ipotesi dei reati di “ricettazione” e di “esportazione illecita di beni culturali”, mossa nei confronti di un soggetto residente in provincia di Perugia (lo stesso che l’aveva messa in vendita da Christie’s).
La storia Il primo a parlare di questo dipinto fu, nel 1933, Raimond Van Merle, che la riconobbe quale lavoro di Fiorenzo Di Lorenzo, perugino. Nove anni prima del furto, invece, il professor Carlo Volpe rilasciò al proprietario un’expertise, con la quale affermava che l’opera andava riconosciuta alla mano di Bernardino di Betto, per tutta una serie di assonanze, di analogie e di particolari che, in questa sede, non é il caso di approfondire. Nel 1989 lo studioso, infine, Filippo Todini, autore di un preciso e compendioso repertorio, l’assegnava, invece, per stile e cronologia, a Bartolomeo Caporali, pure lui perugino.
Al di là di questi aspetti controversi, rimane la dichiarazione di “notevole interesse storico artistico”, con la quale il mistero dei Beni Culturali, nel 1987, attribuiva la tempera su tavola (centimetri 84×54,5) proprio al Pinturicchio. Il ministro dell’epoca, Carlo Vizzini, aggiungeva, per di più: “… nel dipinto si evidenziano caratteristiche rinascimentali tipiche della scuola umbra a contatto con l’ambiente fiorentino verrocchiesco” (nella bottega del Verrocchio, erano passati sia il Perugino – che al ritorno aggiornò il Pinturicchio sulla tecnica del maestro fiorentino -, sia Leonardo da Vinci, sia Sandro Filipepi detto il Botticelli, sia Lorenzo di Credi, tra gli altri). Secondo gli esperti ministeriali l’opera andrebbe collocata tra il 1488 ed il 1495. In un periodo, dunque, successivo agli affreschi che il Pintoricchio aveva effettuato all’interno della Cappella Sistina, insieme al Perugino. Il professor Franco Ivan Niciarelli, intervenuto alla presentazione, ha scosso la testa. Più tardi sui social ha scritto: “Io parlerei di ‘seguace del Pinturicchio’, ma il Pinturicchio in prima persona, va escluso: manca la qualità”.
Il dado è tratto: ora gli esperti dovranno cimentarsi in un dibattito che si annuncia tanto interessante quanto vivace.
I particolari La tavola, comunque, è veramente deliziosa. Tra gli aspetti che colpiscono di più l’occhio del visitatore, gli eleganti fregi del vestito della Madonna, stretto con un raffinato nodo ai fianchi, la “croce patente” sul petto della Vergine, gli occhi blu del Bambino, il paesaggio sullo sfondo (con una gru ed un airone cinerino) da un lato ed una chiesa ed uno strapiombo sull’altro (La Verna?) ed infine i sandali di pelle all’infradito indossati dal Bambino, di una foggia attualissima. Anzi, di più: modernissima.
Elio Clero Bertoldi

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